Scritto da Ludovica Lancini

Pubblicato il 01/06/2020

David Lynch può essere considerato uno dei più visionari e poliedrici cineasti viventi: un regista, attore, sceneggiatore, musicista, produttore cinematografico e pittore. È stato in grado da sempre di generare nel suo pubblico reazioni molto differenti, grazie a capolavori come Eraserhead – La mente che cancella, Velluto Blu o la celebre serie Twin Peaks, che ha riportato sugli schermi televisivi con un’ultima agghiacciante stagione 25 anni dopo il suo debutto nel 1992.

La celeberrima frase pronunciata da Laura Palmer (Sheryl Lee)

Forse non tutti sanno che il suo estro creativo sia stato incanalato per la prima volta nella pittura, passione da cui poi nascerà l’interesse concreto per il cinema. Sono infatti i progetti al di fuori di quest’ambito che plasmeranno i suoi film, da cui deriva, per esempio, l’attenzione per la composizione delle inquadrature, tipica di un occhio pittorico. Presenta uno stile molto personale, ricco di ambiguità e mistero, arricchito da un contrasto costante tra sogno (incubo?) e realtà, da enigmi che lasciano volutamente spazio a plurime interpretazioni, da intenzioni e obiettivi difficilmente dichiarati. Ascoltando diverse interviste si può notare che chiacchierare e scambiare battute con le persone che ha di fronte lo diverte particolarmente, ma che il suo atteggiamento principale sia il rimanere sempre sul vago riguardo ai dettagli della sua sfera personale e, soprattutto, al significato celato all’interno dei suoi film, proponendo uno stile cinematografico fondato generalmente sul non-detto. Utilizza immagini evocative, spesso macabre ed oscure, che danno sfogo alla libera interpretazione dello spettatore, senza inserire chiavi di lettura evidenti. Evita persino di raccontare in maniera dettagliata il metodo con cui raccoglie le idee, essendo convinto che grazie ad esso lo spettatore possa scovare il punto di partenza. L’unica informazione che ci regala nel descrivere il proprio processo creativo è un paragone con la pesca: ogni volta che si va a pescare non si saprà mai quello che si riuscirà a catturare, può succedere che siano diversi i pesci che abboccano, ma che al tempo stesso non siano una preda soddisfacente. Così molte idee arrivano alla mente da contesti diversi tra loro, alcune belle, altre noiose, altre di poco conto, ma prima o poi arriverà quella elettrizzante su cui si potrà iniziare a lavorare. Il primo passo sta dunque nell’analizzare l’idea e le sensazioni che essa ha generato e quello subito successivo sta nel capire come il cinema possa esprimerla e, in caso, realizzarla nella pratica.

David Lynch in posa davanti ad una sua opera

Può rimanerne colpito o deluso, ma questo passaggio è soltanto un minuscolo frammento di quello che sarà il risultato finale. Si focalizza soprattutto sulla sensazione provata e inizia a scrivere delle bozze cercando di trasmetterla. E, come un amo a cui diversi pesci iniziano ad abboccare uno dopo l’altro, la messa per iscritto inizia a portare a galla nuove e diverse questioni. Può capitare che abbia idee completamente sconnesse da quella originale e che decida comunque di girarle tutte separatamente, per poi provare a trovare solo successivamente un filo rosso che le colleghi tra di loro.

Tornando alla sua carriera artistica, sappiamo che il suo interesse per il cinema nacque per caso nell’osservare un disegno muoversi (probabilmente per una folata di vento), nel notare il contrasto su carta tra la staticità e il movimento. Il passo successivo sarà la realizzazione, mentre ancora si trova come studente alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts, del suo primo cortometraggio Six Men Getting Sick (Six Times), nel 1967. Si tratta di una videoinstallazione proiettata su una scultura che fa da schermo.

Frame di “Six Men Getting Sick

Le tre figure presenti sono in realtà calchi dello stesso Lynch e “interpretano” sei differenti persone che si ammalano, arrivando infine a vomitare. Sia questo che il suo secondo cortometraggio, The Alphabet (1968), vengono definiti degli ibridi, in cui si intrecciano installazione e cinema sperimentale. In questo caso l’idea sembra arrivare dalla nipote di Peggy Lentz, ai tempi moglie di Lynch, che durante la notte ripeteva l’alfabeto nel sonno, con voce quasi spaventata.

Frame di “The Alphabet

Grazie a quest’opera iniziò a raggiungere la notorietà, vincendo anche un premio dall’American Film Institute, che gli permise di girare il successivo, The Grandmother (1970). Sono qui presenti sia elementi di recitazione che di animazione in stop motion. L’aneddoto più interessante riguarda le scene interne, girate proprio nell’appartamento di Lynch con l’aiuto di amici e colleghi “non professionisti”. Anche nel successivo The Amputee (1974) Lynch si inserisce in prima persona, recitando la parte dell’infermiera che medica le gambe amputate della donna protagonista (Catherine E. Coulson, la futura Signora Ceppo di Twin Peaks) che, fumando, scrive una lettera di lamentele riguardo ad un “lui” (ripetuto in maniera ossessiva, in un contrasto tra la quotidianità del gesto e la sua irrazionalità).

Frame di “The Amputee

Stava girando Eraserhead da ormai un anno ed era rimasto senza soldi, condizione che gli fece trovare allettante la proposta di lavorare a un nuovo corto. Per un colpo di fortuna l’AFI (American Film Institute) aveva chiesto al direttore della fotografia e amico di Lynch Frederick Elmes di girare una prova con due diversi tipi di nastro (in bianco e nero) per poterne determinare il migliore e procederne all’acquisto in grande quantità. Esistono infatti due versioni di The Amputee, che si differenziano soltanto per la durata. Nel 1988, ormai sempre più popolare grazie all’uscita dei suoi primi quattro lungometraggi (Eraserhead, The Elephant Man, Dune e Velluto Blu), realizzerà una piccola commedia, The cowboy and the Frenchman che racconta dell’incontro tra alcuni cowboy e un uomo francese. Molto più interessante è Premonitions Following an Evil Deed, del 1995, inserito nel film Lumière et compagnie, realizzato grazie all’idea della fotografa Sarah Moon che decide di affidare a 41 registi la cinepresa originale dei fratelli Lumière per creare un’opera che seguisse precise regole tecniche: sonoro asincrono, non più di tre inquadrature e durata massima di 52 secondi. Lynch decide di non rispettare queste imposizioni, facendo durare il corto “ben” 55 secondi. Nel 2002, con uno dei suoi primi approcci alla ripresa digitale, Lynch si dedicherà a Darkened Room, cortometraggio di otto minuti che racconta dell’incontro di due donne in una stanza buia. La donna bionda è delineata come sottomessa, elemento marcato anche dal gioco di inquadrature, ad una donna mora che si staglia di fronte a lei e che la rimprovera con tono rassegnato e sarcastico. Nello stesso anno lavora anche a due brevi serie televisive da otto episodi ciascuna: Rabbits e Dumbland. La prima narra la storia di tre conigli antropomorfi, interpretati da Naomi Watts, Scott Coffey e Laura Elena Harring, che ingaggiano su un piccolo divano continui dialoghi surreali e sconnessi, mentre una di loro stira in maniera quasi ossessiva lo stesso capo. Spesso si trovano a pregare una strana divinità pagana, che appare dal corridoio retrostante, o a cantare e pronunciare dei sermoni.

Frame di “Rabbits

Le risate di sottofondo, tipiche delle sitcom, vengono inserite in contesti per nulla ridicoli o divertenti, creando un senso di inquietudine sempre più profondo. Con Dumbland siamo su un piano diverso, si tratta infatti di un’anti-serie animata, caratterizzata da disegni molto semplici le cui linee di contorno sono tracciate direttamente con il mouse, senza colore, senza sfondi, con voci e suoni distorti, fastidiosi. “Una serie molto volgare, stupida, violenta e folle; e anche molto divertente, in quanto ne riconosciamo la follia”, dalle rare parole dello stesso Lynch.  È invece di questi giorni la notizia dell’uscita di un corto inedito, Fire (Pozar). Scritto, diretto e disegnato dallo stesso Lynch, ma animato da Noriko Miyakawa, che aveva già lavorato con il regista come assistente al montaggio per diverse opere, tra cui l’ultima stagione di Twin Peaks del 2017. Gli indizi che preannunciavano l’arrivo di qualcosa di nuovo erano diversi. Durante la quarantena Lynch ha infatti aperto un canale YouTube sotto il nome di David Lynch Theater, in cui ogni giorno, dall’11 maggio, carica video intitolati ià all’inizio di quest’anno in cui, per festeggiare il compleanno di Lynch, è stato reso disponibile su Netflix What Did Jack Do?, corto in bianco e nero presentato nel 2017 alla Fondation Cartier pour l’Art Contemporain di Parigi che mette in scena, all’interno di una stazione ferroviaria, un interrogatorio ad una piccola scimmia (la Marcel accudita da Ross Geller nella sitcom Friends) sospettata di omicidio e interrogata da Lynch stesso. Anche qui i dialoghi sono sconclusionati e confusi e l’atmosfera grottesca viene rafforzata dall’inserimento in deepfake di una bocca umana sul muso del primate.

Frame di “What Did Jack Do?

Le  pellicole dei primi sei corti di Lynch sono state raccolte in ordine nel DVD The Shorts Films of David Lynch (2002) e sono quindi facilmente reperibili nel caso in cui vogliate farvi un’idea del percorso creativo che ha portato Lynch ad indirizzare sempre più energie nella scrittura e nella regia, arrivando a diventare l’artista completo che tutti conosciamo (e che forse non comprendiamo ancora a fondo). Allo stesso modo mi sento di consigliarvi David Lynch – Perdersi è meraviglioso, interviste sul cinema, una raccolta di ventiquattro diverse interviste che ripercorrono la sua carriera dal 1977 al 2008, tra aneddoti, ricordi e vere e proprie dichiarazioni di poetica.