Scritto da Arianna Brestuglia

Pubblicato il 18/05/2020

La città è il luogo in cui viviamo, lo sfondo delle nostre azioni e di tutto ciò che ci accade. Rumori, colori, ritmi della città plasmano le nostre giornate, ci donano emozioni, ricordi ed esperienze: c’è chi la mattina si sveglia presto per prendere la metropolitana ed arrivare puntuale a lavoro, chi rimane bloccato nel traffico, chi osserva la vita da una finestra, chi ha vicini di casa troppo invadenti, chi dorme per strada. Il cinema da sempre racconta e descrive frammenti di esistenze diverse che convivono nello stesso spazio. La città a volte è palcoscenico, a volte è attore.

Frame del capolavoro di Ridley Scott: “Blade Runner

Città che diventa protagonista

Ci sono storie raccontate nei film che esistono proprio perché la città ha dato loro vita: Goodbye Lenin! (regia di Wolfgang Becker, 2003) è una di queste. Una donna caduta in coma per otto mesi si sveglia quando il muro che spezza Berlino in due opposte realtà, è crollato. Ai figli spetta l’arduo compito di evitarle lo shock di uno spazio urbano completamente cambiato in pochi mesi. La città è protagonista del film quasi più delle figure umane, perché è il filo rosso che li collega, il contesto senza il quale nulla sarebbe accaduto.  La città cambia velocemente e spesso questo mutamento è indipendente dalla nostra volontà, dobbiamo correre alla sua stessa velocità per non restare indietro.

Frame del film “Goodbye Lenin” di Wolfgang Becker

Città immaginaria

In certi casi, invece, è il contrario: è la storia che disegna la città. Piazze e edifici sorgono nella fantasia di chi li pensa solo per dare al personaggio uno sfondo che giustifichi le sue vicissitudini.  L’alienazione degli abitanti, dove potrebbe essere ambientata se non nell’immaginaria Metropolis di Fritz Lang del 1927? Nell’immaginario distopico del film, città e uomo sono un’unica macchina, e gli esseri umani sono niente più che ingranaggi in funzione della produzione. Oppure la pessimistica visione che affligge i protagonisti di Blade Runner (Ridley Scott, 1982) è perfettamente descritta dalla piovosa e apparentemente senza fine Los Angeles del futuro.

Frame del capolavoro visionario “Metropolis” di Fritz Lang

Città simbolica

Infine, talvolta la città diventa il simbolo di un ideale da raggiungere o da cui fuggire, anche se non rappresentata direttamente nella pellicola. In La notte di San Lorenzo dei Fratelli Taviani (1982), gli abitanti di San Martino, un piccolo paese toscano, abbandonato per sfuggire all’invasione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, si lasciano alle spalle non solo la città, ma tutto ciò che essa rappresenta e a cui vorrebbero tornare: sicurezza, quotidianità, serenità. Diventa invece un luogo da cui fuggire quando incarna una vita a cui il protagonista non si sente di appartenere, come in Into the wild (Sean Penn, 2007), in cui la città è il simbolo di una realtà alienata e consumista che spinge alla ricerca di un vivere non condizionato dalle regole della società.

“Into the Wild” di Sean Penn racconta perfettamente l’alienazione dell’individuo all’interno della città