Romania sfortunata e capitoli folli nel film di Radu Jude

Immagino che li regista rumena Radu Jude abbia sicuramente avuto molte suggestioni quando  ha pensato al soggetto del suo ultimo film. Formalmente il racconto si divide in capitoli, con tanto di siparietti e stacchi musicali che ricordano i vecchi film dei Monty Phyton. Senza nemmeno un titolo di testa, vediamo Emi, la nostra sfortunata protagonista, nel mezzo di un chiassoso amplesso sfacciatamente amatoriale insieme al marito, degno delle più remote categorie di PornHub. Nei primissimi minuti di film ci viene letteralmente sbattuto in faccia un bel pisello in erezione, un attimo prima che Emi si prodighi in una appassionata fellatio. Ricordo di aver pensato “cazzo! Chissà le facce del pubblico durante la première al festival di Berlino. Ah già, il film si è portato a casa l’Orso d’oro del 2021: Radu Jude vince e convince”.  Se considero che basti un po’ di nudo per fare del bel cinema? Assolutamente no, neanche nel genere pornografico è così. Sesso sfortunato o Follie porno è molto di più. Possiede una profonda consapevolezza dello sguardo cinematografico. La presenza di un formato video verticale, palesemente registrato con un cellulare, è solo un artificio che drammatizza all’estremo il divario fra la dimensione privata della vita sessuale di Emi e il suo avvento nel pubblico, il mondo di facciata e benpensante della società. 

Adesso conosciamo il reato e il reo: la gioia del sesso ed una insegnante di un istituto privato. Il primo capitolo utilizza uno stile documentaristico e ci serve per conoscere il tribunale che giudicherà le azioni della nostra eroina: Bucarest. Sebbene non sia direttamente esposta, la macchina da presa è comunque un protagonista della scena perché si trova dentro lo spazio che riprende, al punto che una vecchina grida in macchina “eat my cunt!”. Osserviamo Emi da lontano, con lunghe e pazienti panoramiche, mentre cammina per le strade della città. Sono inquadrature asciutte ed eleganti, fondamentali per darci qualche strumento contestuale alla narrazione ma inutili dal punto di vista narrativo. Lo sguardo vagante della macchina da presa, talvolta, si sofferma su dettagli irrilevanti. Un fiore che sbuca dal marciapiede: la vita erompe ovunque ci siano le condizioni per farlo, indifferente di tutti e tutto? Non vorrei sbilanciarmi troppo, ma la quantità di elementi extradiegetici rispetto alla trama è talmente grande da risultare sospetta, quasi a voler suggerire una dimensione più filosofica e poetica sotto alla superficie delle inquadrature. Un’amara riflessione induista apre il primo capitolo: “No one understands that the world is sinking on the ocean of time, that is so very deep and infested with those huge crocodiles called decrepitude and death”.  

Queste immagini di vita quotidiana, così spoglie di qualsiasi estetismo o artificio narrativo, mi hanno richiamato alla mente una frase di Schopenhauer: “Il grande sogno della vita è uno soltanto. La volontà di vivere”. Una volontà, questa, che non ha nessuno scopo, che non tende a una meta e che non è determinata da alcuna razionalità. Ma l’essere umano ha bisogno di una finalità che mascheri le due pulsioni fondamentali dell’inconscio (quella sessuale, per riprodursi, e quella aggressiva, per difendere la prole), e da questa necessità nascono le rappresentazioni di significato in cui viviamo e in cui ci riconosciamo come parte di una società. O di un branco, se preferite.   Nella prima parte del film ho potuto gustare la vita quotidiana di Bucarest e ammirare l’individualismo imperante di automobilisti sui marciapiedi e di signore spietate in fila alla cassa. Una messa a nudo della violenza e del disordine, elegante nella sua imparzialità.  Non meno significativo è stato vedere le inconfondibili insegne del capitalismo che tutti noi conosciamo (gli ipermercati smisurati, i grandi magazzini, i palazzoni delle multinazionali), affiancate dagli enormi e onnipresenti condomini di epoca sovietica, grigi e fatiscenti, che fanno da sipario a tutte le scene.  

L’uso del montaggio è sapiente in tutte le parti del film e ancora di più nel sorprendente capitolo secondo. Aneddoti, dati, curiosità storiche, barzellette, riflessioni e aforismi si trovano qui assemblati in successione, uno dopo l’altro, secondo le più basilari tecniche di montaggio cinematografico. Così facendo, è come se Jude volesse denudare il linguaggio stesso del cinema, riducendolo all’osso e portandoci dall’aneddotica sulla storia geopolitica della Romania a riflessioni poetiche sulla natura del cinema.  Il mio spirito di osservazione, tanto sollecitato nella parte uno, ha potuto fare la scarpetta nel sugo concettuale della parte due. Condendo generosamente con sentimenti di odio e di amore per il proprio Paese, il regista impiatta freddamente anche gli aspetti più crudi e inquietanti della sua storia nazionale. Lo sapevate che la Romania ha perpetrato genocidi contro il popolo ebraico? E che la Chiesa ortodossa, vera istituzione del Paese, ha sempre sostenuto la repressione – sistematica – ad opera dell’esercito e ogni genere di governo autoritario?  

La memoria storico-culturale del Paese è raffigurata con distacco surreale e per questo ancora più feroce. Questo e altri elementi, accostati tra loro, riflettono l’immagine di una nazione che rimane uguale a sé stessa nonostante le enormità geopolitiche che l’hanno accerchiata, tra nazismo e comunismo, la recente democrazia post-rivoluzionaria e l’ingresso nell’Unione Europea.  È il trasformismo usato come bandiera che ha permesso alla Romania di continuare ad esistere e ha creato un paese surreale, dove le glorie del passato e l’ideologia volta al futuro convivono con un presente senza prospettive. La generazione di Radu Jude, ovvero dei figli di coloro che hanno lasciato la Romania e che sono tornati oggi, è in grado di vedere le grandi contraddizioni che abitano la propria casa con uno sguardo europeo ma non sono in grado di combatterle e tantomeno sconfiggerle. 

Il capitolo finale, intitolato “Sitcom – Prassi e allusioni”, è un capolavoro di ironia. Emi è arrivata nella scuola dove i genitori dei ragazzi sono già seduti ai loro posti pronti a giudicarla. È qui che tutte le suggestioni raccolte finora trovano sfogo. Distanziati secondo le norme anti-covid, ognuno dei giudici è per questo ancora più enfatizzato nel ruolo stereotipato che ricopre, e come tanti leader d’opinione si esprimono con teorie del complotto e argomentazioni fuori luogo usando come scudo il futuro dei bambini e la morale per celare il proprio imbarazzo. L’argomento centrale del revenge porn non riesce ad essere affrontato con la giusta serietà e viene deriso con battute da liceali. Ma qui viene il bello. Il gioco di specchi messo su da Radu Jude entra in funzione e il processo a Emi diventa un meccanismo secondo il quale a giudicare siamo noi spettatori. Non è il filmino pornografico dell’insegnante ad essere sotto processo. Fra teorie del complotto, negazionismo, accuse di propaganda Lgtbq+/ebraica ed altre castronerie che sembrano esser state tirate fuori dalle peggiori pagine complottiste su Facebook, ad essere messa a nudo è l’incoerenza della natura umana e l’ipocrisia che ne scaturisce. L’oggettività non è altro che un pugno di soggettività condivise. E allora cos’è giusto? La realtà, spogliata di tutte le velleità che la ricoprono, com’è fatta?

L’epilogo ci propone delle soluzioni. Esilarante, certo, ma profondamente frustrato.  Nel dubbio, è sicuramente un bellissimo film.

Cinema – We have learned in school the history of the Gorgon Medusa whose face was so horrible that the sheer sight of it turned man and beasts into stone. When Athena instigated Perseus to slay the monster, she warned him never to look at its face but only at its mirror reflection in the polished shield. Following her advise Perseus cut off Medusa’s head.

The moral is that we do not, and cannot, see actual horrors because they paralize us whit blinding fear; and that we shall know what they look like only by watching images which reproduce their appearence. The cinema screen is Athena’s polished shield.” – Capitolo 2 di Follie porno o sesso sfortunato

Scritto da Andrea Lombardi