Pellicole e altro da Il Cinema Ritrovato

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Scritto da Redazione

Primi piani, primi film

Il primo film è Force of Evil, noir americano del ‘48. Le ombre – siamo in un noir d’altronde – particolarmente curate come specchio di un secondo film in silhouette nera. Studiata e ancor più accattivante la scelta di come posizionare la mdp, spesso in alto o in basso, a formare piani mai banali. Ossessiva la presenza delle porte e il loro passaggio – anche delle scale, ma devo essere breve. Più di altro, l’influenza su Scorsese – che presenta in video il film – è data da un paio di sequenze in rapido montaggio con piani ravvicinati e composti per dare il maggior pathos possibile. Come in molti film di Scorsese appunto.

La mattina, post accredito, s’è aperta con subito l’avvistamento del direttore in versione Caro diario. Si sposta tra le varie sedi – quest’anno molte di più e anche più distanziate tra loro – con un agile e antiquato motorino rosso. La sera, con un completo pendant verde su verde con cravatta e occhiello sullo stesso tono, ricompare in formissima sul Crescentone. In risposta a Farinelli è Davide Pozzi, guida de L’immagine ritrovata, con camicia con maniche arrotolate e pronto per l’aperitivo.

Grottesco, comico, drammatico. Il primo film del pomeriggio è Scarpe Rotte (Rvanye Basmaki, 1933), di Margarita Barskaja. Apre il ciclo dedicato alle “pioniere del cinema sovietico”, e qui non se ne vorrebbe perdere nessuno (A ja ljublju SSSR, si direbbe col buon Ferretti Lindo Giovanni). La regista vuole un film che parli di bambini e ai bambini. Inizia come un doc su un paese mai citato ma palesemente nazi. Alcuni bambini hanno divise con la svastica (Jojo Rabbit non inventa nulla). Sorge la lotta di classe in classe, con bambini che decidono di partecipare allo sciopero. Ricco di sequenze accelerate, soggettive, montaggi arditi ma assai funzionali, sarebbe una perla a cui dedicare tempo, con questo sguardo così puro oramai introvabile, e da riscoprire, se non fosse introvabile.

Quindi s’impara che opinione pubblica e pettegolezzi sono due modi per intendere la stessa cosa, è la battuta migliore di un film altresì verboso. Il generale e il dottore di Yuzo Kawashima. Troppo nipponico e con amori incorrisposti per parlarne.

Intanto si esce e rientra nella stessa sala per sedersi nello stesso posto per tre volte.

Due mediometraggi muti sovietici mostrano le due facce del primo piano. Nel primo caso è rozzo e didascalico, molto più delicato e meno forzato nel secondo. La regista è però sempre la stessa: Aleksandra Chochlova (titoli e dettagli si forniscono su richiesta).

Serata in Piazza Maggiore, dove si scopre il 68mm inventato da Dixon e chiamato Mutoscope. Impressionante la nitidezza del nero, il dettaglio in profondità. Sono stati tutti girati entro il 1898.
Sempre dai primordi del cinema sono i corti girati con la prima camera “amatoriale” inventata da Gaumont dal signor Stucky. Precisamente lo Stucky della Giudecca, che col suo gadget costosissimo e avantissimo (dei Google Glass di allora), è capace di raccogliere immagini di una delicatezza rara.

Dopo Venezia inevitabilmente il piatto forte scippato a Cannes, dove doveva essere presentato: la versione restaurata di À bout de souffle (Fino all’ultimo respiro). In breve si può dire che è tutto un gioco amoroso tra un ragazzo spavaldo e attento alle regole solo per infrangerle, e una affascinantissima donna che regge – detta? – il gioco, ovvero un gioco tra Godard e l’arte cinematografica.

Invece che con l’ultimo corto visto chiudo con l’unica cosa che interessa dei festival, la borsa brandizzata. Quest’anno ha una grafica meno accattivante degli ultimi anni, ma avvicinandosi, la sigla F.T.A. (fuck the army), si prende bene la scena. Ma da dove viene quella scritta ce ne occupiamo la prossima volta…