In linea di principio ho appena detto una cosa buffa o comunque divertente. Potreste, che so, sorridere. Voi non pensate che a queste cose. Proprio così. Ma cosa ti prende adesso, soffri? E invece io non soffro più: non bisogna soffrire tutti e due insieme. Quando smetterai tu, comincerò io. Tra dieci minuti sarà giorno: per una volta potresti restare a dormire qui vicino a me. Guarda, tu hai avuto poche donne, io ho avuto molti uomini, facciamo una buona media, faremo una discreta coppia. E poi mi ricordo, mi ricordo di quando hai detto: ti amo. Ti dissi: aspetta. Stavo per dirti: eccomi. Tu mi hai detto: vattene. Non ho cuore, ed è per questo che non ti amo, e non amerò mai nessuno. E poi ho trentadue anni, e tu ventinove. A quarant’anni vorrai una donna: io ne avrò quarantatré, ne prenderai una di venticinque e io resterò sola. Scusami, parlo troppo.

Nelle camere d’albergo ci si sente sempre colpevoli. Non sarò molto morale, ma le cose clandestine non mi piacciono. Ieri mi hai detto: «Il nostro affetto sta per nascere: bisogna lasciarlo tranquillo come un bambino». Ma adesso fammi vedere i piedi, guarda che i piedi sono importanti in una donna. Andiamo a dormire? Sì. 

Aspetta, esito. Pensi ad alta voce, ti ascolto: «È triste il sonno: si è costretti a separarsi». Chi l’ha detto? È un vero peccato: si dice dormire insieme e non è vero. Non posso fare a meno di te. Puoi benissimo. Sì, ma non voglio.

Dico: «Quante cose si finiscono per sapere se si resta un po’ soli. La vita sarebbe sopportabile se non ci fossero i piaceri». Però penso: «Se stasera ho voglia di morire, è perché non ti amo più. Sono disperata per questo. Vorrei essere già vecchia per averti dedicato tutta la mia vita. Vorrei non esistere più, perché non posso più amarti». A me sembra che l’amore debba limitare una persona: qualcosa di sbagliato, che fa il vuoto attorno.

E poi di giorno io ti incontro e mi ricordo di te. Tu mi uccidi. Tu mi fai del bene. Come avrei potuto sapere che il tuo corpo si adatta al mio? Tu mi piaci, che avvenimento… Tu mi piaci, che languore all’improvviso… Che dolcezza, tu non puoi sapere. Tu mi uccidi. Tu mi fai del bene. Tu mi uccidi. Tu mi fai del bene. Mentre il mio corpo si incendia al tuo ricordo vorrei rivedere Nevers. Il fiume, i bei pioppi della Nièvre per dimenticare tutto. Storia da quattro soldi, io ti dimentico. Una notte lontana da te e attendevo il giorno come una liberazione. Un giorno senza i suoi occhi ed ella ne muore, ragazzina di Nevers, monella di Nevers. Un giorno senza le sue mani ed ella crede all’infelicità dell’amore, ragazza da niente, morta d’amore a Nevers. Piccola fantasma di Nevers io ti lascio partire, stasera, storia da quattro soldi. Come fu per lui, l’oblio comincerà dai tuoi occhi, uguale. Poi come fu per lui, l’oblio avrà la tua voce, uguale. Poi come fu per lui, esso trionferà di te tutt’intero a poco a poco e tu diventerai una canzone. 

Adesso però ho ancora tempo. Ti guardo e ti desidero: divorami, deformami fino all’orrore. Perché non te? Perché non te in questa città e in questa notte così simile alle altre al punto da rendersi irriconoscibile. Te ne prego. È pazzesco che tu abbia una bella pelle. 

Chiudi gli occhi adesso, smettila. Lo so, alla fine non durerà. Per questo amore mio ti lascio prima che mi lasci tu, prima che tu cessi di desiderarmi: perché allora non ci resterebbe che la tenerezza, e so che non sarebbe sufficiente. Me ne vado prima di essere infelice. Porto con me il sapore dei nostri abbracci; porto con me il tuo odore, il tuo sguardo, i tuoi baci; porto con me il ricordo dei più begli anni della mia vita, quelli che tu mi hai dato. Ti bacio tanto, tanto da morire: ti ho sempre amato, non ho amato che te. Me ne vado perché tu non mi dimentichi mai più. 

Matilde

Scritto da Alice De Santis