“Lo ami, lo odi o lo capisci”, direi a chiunque fosse perplesso come me dopo aver visto Dogville di Lars von Trier per la prima volta.

Ero a un pigiama party, a mezzanotte, quando ho avuto la brillante idea di proporre un film di  due ore alla Bertolt Brecht e, credetemi, ala fine mi sono odiata un po’ anch’io.

Dogville è il primo episodio della trilogia di Lars Von Trier USA – Land of Opportunities che, nonostante il titolo, non è incentrata su un paese specifico, ma utilizza la cultura americana come metafora interculturale per mostrare e rappresentare il lato brutto della natura umana.

Dopo nove capitoli e un prologo, sono rimasta disgustata e incuriosita da un finale che, come tutti i precedenti lavori di Lars von Trier, mi ha solo incoraggiata a affrontarlo ancora, alla ricerca di un significato a prima vista mancato.

Lars, che si è ispirato da Bertolt Brecht, voleva che il suo pubblico rimanesse obiettivo e privo di emozioni, così da poter prendere decisioni razionali. Dato che inizialmente ero rimasta profondamente commossa da questo dramma, l’analisi mi è risultata possibile solo dopo una  seconda visione. A mente fredda, ho visto in Dogville una nuova versione del viaggio di Gesù Cristo (la parabola del buon samaritano) con una svolta machiavellica sul bene cristiano che perdona tutto.

La trama ruota attorno a Grace Mulligan (Nicole Kidman) che fugge da una banda di teppisti e finisce a Dogville, un piccolo villaggio isolato dal resto del mondo con una sola strada che conduce ad esso. Per poter rimanere, tutti nel villaggio  devono acconsentire e correre il rischio di accogliere una ragazza che non conosce il suo passato, in cambio di un lavoro fisico di diverso tipo.

Grace è stata inviata dal destino come dono di bontà (grazia significa dono) in un luogo in cui la presenza di Dio non si sente più (poiché Dog-ville è un anagramma inverso di God-ville). Durante i primi dieci minuti del film, Tom Edison Jr. (Paul Bettany) pone una domanda retorica che riassume gli eventi successivi: “Poiché gli abitanti di Dogville hanno un problema di accettazione, ciò di cui ho davvero bisogno è qualcosa che li faccia accettare…”, sfidando così la trama futura. Ma hanno mai accettato veramente il dono della gentilezza onnipotente che è stato portato loro? A causa del suo status di filosofo della città, Tom deve essere l’unico a presentare Grace a Dogville, anche se non è particolarmente bravo in questo. È interessante notare che lo spettatore sa tanto di Grace quanto gli abitanti di Dogville. Non ha una famiglia, solo un padre, il che avvicina ancora di più il suo carattere a quello di Gesù Cristo. I piccoli “peccati” degli abitanti del villaggio sono trascurati all’inizio e perdonati da Grace come da vera cristiana, mentre la mancanza di mura visibili nella città crei un senso di trasparenza e cieca ignoranza tra i residenti di Dogville.

Quando la situazione diventa insopportabile e Grace viene ammanettata come un cane, Lars von Trier ci offre un finale alternativo alla parabola biblica. La gente non ha più nulla da prendere da Grace, quindi la esclude dall’odio per la sua perfezione morale.

“È tutto?” mi chiederete. E se non ci fosse redenzione e Dio-Grace non porgesse l’altra guancia? Se fosse invece il giorno dei peccatori?

Immagino che tocchi a voi capirlo.

Scritto da Tyra Galiyeva