Scritto da Francesca Carraro

Pubblicato il 02/06/2020

Anche i meno esperti d’arte sicuramente conosceranno Fontana, la celebre opera d’arte ready-made di Marcel Duchamp che consiste in un orinatoio firmato “R.Mutt”, considerata da molti come una delle più iconiche del XX secolo.

La “Fontana” di Duchamp

Quest’opera mostra chiaramente il pensiero dietro il movimento – ovvero il Dadaismo – del suo ideatore, che aveva come scopo principale quello di stravolgere tutte le concezioni artistiche ed estetiche precedenti. I dadaisti non volevano ragionare in termini logici ma piuttosto dare enfasi alla stravaganza e all’umorismo: la scelta di utilizzare il termine Dada, una parola senza significato, dimostra quanto fossero contrari all’arte stessa.

Due dei maggiori esponenti del movimento dadaista furono il già citato Marcel Duchamp e il noto fotografo Man Ray, i quali realizzarono insieme un corto intitolato Anémic Cinéma (1926).

Questo corto di circa 6 minuti, che vede anche la collaborazione del regista Marc Allégret, consiste sostanzialmente in dischi di carta sui quali sono disegnate delle spirali alternate a dischi contenenti frasi in francese senza senso denominate “rotorilievi”. L’effetto ottico che si crea fa apparire queste spirali quasi tridimensionali. Importante anche il titolo: “Anémic” infatti è l’anagramma di “Cinéma” e le due parole risultano quasi palindrome, dimostrando quanto a Duchamp piacesse giocare con l’ironia. Si tratta quindi di un corto sperimentale, senza una vera e proprio narrazione ma incentrato su uno studio delle forme.

Frame del corto “Anémic Cinéma

Mentre Duchamp continuerà a dedicarsi alle sue sperimentazioni artistiche senza però realizzare altri film, Man Ray accompagnerà alla fotografia altri esperimenti cinematografici.

Le Violon d’Ingres“, foto scattata nel 1924 da Man Ray, probabilmente una delle foto che ha segnato la storia della fotografia

Dei suoi film uno dei più iconici e noti è sicuramente Emak-Bakia (1926), nel quale troviamo numerose tecniche che utilizzerà nelle sue fotografie come la doppia esposizione e l’effetto flou.

Il corto non presenta una narrazione vera e propria ma è composto da una serie di immagini e riprese apparentemente sconnesse tra loro, tra le quali troviamo ingranaggi, una macchina in corsa e delle gambe femminili che ballano. Gli occhi ricorrono spesso in questo corto e una scena apparirà familiare a molti: il corto si chiude infatti con una ragazza con occhi dipinti sulle palpebre che spalanca per mostrarci altri occhi, quelli veri. Questa scena è stata citata dal film, secondo l’autrice un cult, La maledizione del forziere fantasma (2006) della saga di Pirati dei Caraibi: dove è stato applicato lo stesso trucco sulle palpebre di Jack Sparrow quando viene tenuto prigioniero dalla comunità indigena dell’isola. La scena finale può essere ricondotta alle ricerche di Man Ray relative alla realizzazione di illusioni ottiche e al concetto di falsità: nel finale del corto, sovraimpressa ci appare la stessa immagine della ragazza con gli occhi dipinti ma al contrario.

Un altro film di Man Ray che merita di essere citato è L’étoile de mer (1928), nel quale ricorrono le tematiche tipiche del dadaismo (come i giochi di parole) e che può essere definito come una poesia composta in immagini cinematografiche. La maggior parte delle scene è vista attraverso un vetro smerigliato, il che ci permette di comprendere la dinamica delle situazioni ma senza vedere tutto in modo dettagliato. Questo stratagemma viene usato dal regista per sottolineare quanto la conoscenza del mondo sia fuori dalle nostre possibilità. I testi che compaiono nelle didascalie sono scritti dal poeta Robert Desnos, che compare anche alla fine come “un altro uomo”.

Frame di “L’étoile de mer

Man Ray continuò a girare svariati corti sperimentali, ma sempre “in secondo piano” rispetto al suo grande amore, la fotografia.