Fargo (1996) dei fratelli Coen è un film sottilmente sovversivo. 

Non basta una volta per apprezzarlo. 

Fargo è un poliziesco e allo stesso tempo ne è una parodia. Prende gli schemi hollywoodiani di genere – cinematografico e anche personale e li ribalta, capovolge, ne fa uno scherzo ironico che non fa ridere e lascia un po’ a bocca asciutta.

Ma cominciamo dall’inizio: dopo le varie sigle di collaborazione compare una scritta che ci avvisa che il film che stiamo per vedere è una “true story” (una storia vera). Un senso di inquietudine scorre lungo la schiena, un poliziesco tratto da una storia vera non è mai una buona notizia. Poi il film comincia e più va avanti e più ci chiediamo come possa essere stata una storia così assurda una storia vera.

Ci troviamo in Nord Dakota, a Fargo, appunto. É pieno inverno, il freddo che provano i personaggi si sente attraverso lo schermo, siamo in un pub dove Jerry (William Macy) si è recato per parlare dell’organizzazione del rapimento della moglie con due personaggi inquietanti: Carl (Steve Buscemi), a funny-looking man, e il silenziosissimo e intensissimo Gaear (Peter Stormare). 

Consapevoli che il rapimento avverrà assistiamo alle altre scene chiedendoci quando, dove, come avverrà. Se avverrà. E questo è il primo capovolgimento: un poliziesco si basa sul non sapere chi è l’assassino, il rapitore, chi ha compiuto il delitto. I fratelli Coen, invece, ci mostrano tutto fin dall’inizio, a cominciare dal mandante, Jerry.

Jerry è l’inetto per eccellenza: non è capace a prendere in mano la sua vita e quando prova a farlo inevitabilmente sbaglia, lo vediamo alle prese con il suo lavoro, vendere macchine, e vediamo quanto sia incapace a farlo, cerca di fregare il suo acquirente ma non ha alcun successo, cerca di fregare un suo collega, ma viene messo alle strette e si trova lui stesso fregato. Organizza il rapimento della moglie per racimolare dei soldi, perché non si osa chiederli al suocero Wade (Harve Presnell), ricchissimo investitore, a cui invece propone in parallelo un investimento. Capiamo che l’investimento è una soluzione alternativa al rapimento della moglie quando il suocero accetta e lui cerca di rimettersi in contatto con i due uomini per annullare l’accordo precedentemente preso. Ma il rapimento avviene proprio mentre Jerry si trova nello studio del suocero, convinto che questo gli presterà i soldi per fare l’investimento, trovandosi invece ad essere escluso dall’accordo finale. 

Il rapimento avviene con una lentezza disarmante dettata dal personaggio di Gaear, un colosso che sembra muoversi in un fluido molto più denso dell’aria, reagendo a ogni cosa in ritardo e più preoccupato che la moglie di Jerry lo abbia morso che del fatto che dovrebbe sequestrarla. Ma non assistiamo solo a questo, mentre portano la donna in macchina in una casa su un lago non lontano da Fargo, i due si trovano a compiere un triplice omicidio. Sullo sparo che ucciderà l’ultima vittima lo schermo diventa nero e ci porta nella tranquillità matrimoniale di Margie (Frances McDorman) e Norm (John Carroll Lynch), che viene interrotta dallo squillo del telefono. Così, dopo quasi mezz’ora dall’inizio del film, conosciamo la co-protagonista, l’agente Marge Gunderson, che seguiremo mentre tenta di risolvere il caso. 

Nel personaggio di Marge (per cui McDorman ha ricevuto l’Oscar come miglior attrice protagonista), o Margie come la chiamano quasi tutti nel film, la sovversione dei generi e il prendersi gioco di Hollywood è piuttosto evidente. Non solo è l’agente capo del dipartimento della zona ma è anche incinta. Il fatto che sia incinta è particolarmente dirompente non di per sè ma proprio perchè la cosa pare non avere nessuna importanza per la trama. Marge è incinta, fine. Non perde il bambino in modo tragico, non lo vedremo nascere, anzi mancano ancora due mesi, non è un impedimento, la vediamo infatti alle prese con nausee e una grande fame, ma a parte quello il bambino in arrivo non la ferma neanche nel momento più pericoloso e disturbante di tutto il film.

Fargo non è un film disturbante. C’è violenza, molta, e il rosso del sangue nella scala cromatica fredda scelta dai due registi risalta particolarmente. Forse si potrebbe dire più un film avvilente: la violenza c’è ma ci si accorge sempre un secondo dopo che è avvenuta. I personaggi muoiono, ma la loro morte viene mostrata per così poco che rimane quasi da chiedersi se siano effettivamente morti. Tutto quello che di solito ha un’importanza primaria viene mantenuto sullo sfondo e vengono portati avanti altri aspetti come il cibo e la televisione che non funziona che non hanno nessuna rilevanza per la trama ma a cui vengono dedicate scene piuttosto lunghe. Così viene messa in risalto l’assurdità della violenza che si snocciola nel film con una naturalezza inquietante. E proprio Marge alla fine del film, mentre porta Gaear in stazione di polizia, con uno sguardo sconsolato dice a lui e a noi: “And for what? For a little bit of money” (e per cosa? Per un po’ di soldi).

I personaggi di Fargo sono tutte macchiette, sono volontariamente stereotipati e ben inquadrati nel loro ruolo. Jerry è l’inetto, l’incapace, Carl è il cattivo che compie delitti perché non vede grandi alternative per sè nella vita, probabilmente gli piace anche, Gaear è un mostro, che non parla ma nasconde una violenza e una freddezza disarmanti, Jean è la moglie casalinga un pochino tonta, Norm il bravo marito un po’ ingenuo che ama la moglie, Wade il freddo uomo d’affari che vuole proteggere la figlia, Marge la poliziotta buona e decisa. Ma proprio il fatto che loro non vadano al di là del loro personaggio permette ai fratelli Coen di creare questa situazione ironica e tragica allo stesso tempo: sì quella che state guardando è una presa in giro di hollywood e del poliziesco, ma ve ne accorgerete solo in ritardo, le situazioni dovrebbero farvi ridere per la loro assurdità, ma non c’è nulla che scateni in voi la risata. Fargo è un eccellente esempio di cosa sia l’ironia: fa sorridere, non ridere, ma il fatto stesso di aver un po’ riso ci rattrista e ci fa sentire a disagio.

Infine non può non essere menzionata la fotografia. Roger Deakins (che più recentemente ha collaborato in film come 007 Skyfall, Blade Runner 2049 e 1917) gioca con i paesaggi innevati liminali, creando delle inquadrature che ci fanno sentire così piccoli, così immersi nel nulla più assoluto. La neve ovatta ogni movimento e il gelo dell’inverno passa attraverso lo schermo, con una palette fredda su cui i colori più caldi si appoggiano per esplodere. 

Fargo è un film senza vincitori. Neanche la cattura finale viene celebrata, ci viene mostrata, ma le viene data poca importanza. L’ultima scena del film ci mostra Margie e Norm nel letto, ritornati all’intimità che era stata interrotta all’inizio del film, Marge probabilmente ancora con la mente sul caso appena conclusosi gli dice che “we are doing pretty good” (stiamo procedendo proprio bene) e che lo ama, Norm le ricorda che mancano ancora due mesi al parto. E così il film si conclude sulle note di una ninna-nanna che poi diventa la colonna sonora che abbiamo sentito durante tutto il film e di “two more months” (ancora due mesi), quasi a ricordarci che la morte e la crudeltà esistono, ma che la nascita e il bene ne sono l’inevitabile controparte.

Scritto da Paola Ricciuti