Se chiedete a Urban Dictionary cosa sia la Fleabag Era, la risposta che uno dei più famosi ed aggiornati dizionari online vi darà è la seguente: “Quando una ragazza o una persona non binaria (in pratica chiunque non sia un uomo) è pronta a mettere a soqquadro la propria vita e a rovinare le vite delle persone per far sì che la sua fantasia di ragazza sexy si realizzi”. Ma è possibile ridurre una serie geniale come Fleabag a questa semplice definizione? Credo sia limitante, oltre che aberrante, e ora proverò a spiegarvi il perché.

La prima serie di Fleabag è stata acclamata dalla critica per la sua onestà emotiva e sessuale, e per il modo in cui i personaggi, non sempre amabili, sono delineati nel modo più schietto e realistico possibile, espediente che li rende facilmente comprensibili agli occhi dello spettatore. L’idea alla base del personaggio di Fleabag nasce da una sfida tra Phoebe e un amico che la costringe a creare una breve scena per un evento stand up di soli dieci minuti. Scritta, diretta e interpretata magistralmente da Phoebe Waller-Bridge, già autrice del testo teatrale per lo spettacolo messo in scena ad Edimburgo nel 2013, la serie racconta la vita di una donna, di cui non sapremo mai il nome e che verrà ricordata proprio come Fleabag, alle prese con la vita londinese.

Ciò che cattura l’attenzione all’istante è il contatto che, fin da subito, Fleabag instaura con il pubblico, con noi. Phoebe rompe continuamente la quarta parete, rendendoci parte integrante della sua realtà e delle sue disavventure. Inizialmente, nel rivolgersi a noi, ci racconta tutto quello che le passa per la testa, per filo e per segno, guardando dritta in camera. Episodio dopo episodio iniziamo  però a creare un legame sempre più profondo con lei, diventiamo suoi amici, suoi confidenti, quindi lei stessa non sente più la necessità di spiegare i particolari di ciò che le sta accadendo, ma comincia a lanciarci solo veloci occhiate. Quelli che inizialmente erano monologhi pieni di parole mormorate velocemente e ricchissimi di particolari, diventano mano a mano sguardi taglienti, espressioni di vergogna o soddisfazione. Impariamo a capirla, a conoscerla, a provare ogni tipo di sensazione osservando la sua vita attraverso lo schermo. In questo senso è emblematico il primo episodio della seconda stagione, in cui ci racconta brevemente e a scatti cosa è accaduto nell’anno in cui siamo stati distanti e, ad un certo punto, lo fa attraverso uno specchio, ponendo un ulteriore filtro tra noi e lei, tra la realtà che vorrebbe vedere avverata e quella che realmente vive, rompendo quarta, quinta, sesta e anche settima parete. 

Fleabag è la parabola della quotidianità di una persona fatta a pezzi, di una persona fin troppo consapevole di aver commesso un errore irreversibile, di una ragazza che prova disperatamente a rimettersi insieme, diventando sempre più violenta ed autodistruttiva. Forse proprio per questo Phoebe ha deciso di chiamarla Fleabag, che letteralmente significa sacco di pulci, perché si sente squallida, insignificante. Phoebe gioca sul dolore della perdita, sulla vergogna che la sua protagonista prova quotidianamente, sul suo tentativo disperato di mettere da qualche parte tutto quell’amore che ha dentro, ma di cui nessuno riesce a prendersi cura.  Ce lo ricorda Boo, la sua migliore amica, che le promette di prendere in prestito questo amore e di custodirlo per lei, e ce lo ricorda lei stessa, nei due meravigliosi monologhi che caratterizzano ciascuna delle due stagioni. Le persone sbagliano, fanno errori, ma è proprio per questo che in fondo alle matite viene messa una gomma. 

Fleabag ha paura, fa fatica ad ammetterlo, ma è spaventata. Ha paura di dimenticare Boo, di non essere in grado di amare e di essere amata. Nel confessionale, nel quarto episodio della seconda stagione, in cui non vediamo mai il volto del prete, tutta l’attenzione è puntata su di lei, a camera fissa. Esprime tutta la sua rabbia e il suo dolore, vuole qualcuno che le dica cosa indossare ogni mattina, cosa mangiare. Cosa le deve piacere. Cosa odiare. Per cosa arrabbiarsi. Cosa ascoltare. Su cosa scherzare. Su cosa non scherzare. Vuole che qualcuno le dica in cosa credere. Per chi votare, chi amare e come. In questo senso il prete diventa la sua linea di confine tra ciò che c’era prima e ciò che accadrà, la rende consapevole del proprio valore. Quando il suo personaggio viene introdotto lancia degli indizi sulla propria vita passata, che dimostrano quanto lui stesso sia disturbato: genitori alcolizzati, fratello pedofilo, problemi di alcolismo, probabilmente uno stile di vita non particolarmente sano e molto simile a quello di Fleabag. Una figura con diversi problemi, proprio come lei, che però sembra aver trovato un modo per uscirne, avvicinandosi a una condizione di pace. È talmente simile a lei che è l’unico che riesce a vederci, è l’unica persona che si accorge che lei in alcuni momenti si dissocia per chiedere un nostro assenso o diniego, ci guarda anche lui, le chiede dove si trova la sua mente in quegli istanti. Il loro rapporto prende forma velocemente e si evolve rapidamente, forse proprio perché sono più simili di quello che sembra. Amare il prete, che presumibilmente ha superato i propri problemi, porta Fleabag a imparare ad amare anche se stessa e a trovare la propria pace. Come lui ha trovato la propria vocazione, anche lei sarà in grado di trovare la sua, ma non in lui. Così come per il sacerdote non può essere Fleabag, ma Dio. Ed è per questo che non può esserci una terza stagione, perché il rifiuto diventa il suo nuovo punto di partenza e l’unica cosa che può fare è salutarci e allontanarsi. 

Nel finale di stagione, straziante ma innegabilmente esilarante, il padre della nostra protagonista, schivo, ma a volte adorabile, le dice: “Credo che tu sappia amare meglio di tutti noi, per questo lo trovi così doloroso”. Anche se lei sembra volerlo nascondere a tutti noi, questa è la linea, la verità dell’intera serie. Tra tutti i personaggi disfunzionali e repressi, Fleabag è costantemente in fuga dal proprio amore per gli altri. Quella che Phoebe ci racconta è una storia d’amore non convenzionale, quella di una persona spaventata, che alla fine sarà in grado di rialzarsi e, forse, di rimettere in sesto la propria vita, con una nuova consapevolezza. Fleabag ha avuto un tale impatto sul pubblico (e su di me) perché alla fine rappresenta ciò di cui tutti noi abbiamo paura, racconta di una realtà vera, senza porsi filtri e senza tabù.

Scritto da Ludovica Lancini