L’horror. Che brutta invenzione. 

I miei contenuti sull’argomento si avvicinano allo zero, se non al centro della terra, al sottoterra. Mi sono proposta di scrivere l’articoletto del mese ben prima di sapere che l’horror sarebbe stato pescato dal vaso delle disgrazie, afferrato per il tallone come Achille ma, a differenza sua, ben immerso nel disastro. La puntina da cui è stato acchiappato è l’unica, misera, minuscola speranza che mi rimane quando davanti al pc, ora, cerco di scrivere qualcosa al riguardo.

L’unico horror che ho mai visto è il più superato, ormai grottesco, The Blair Witch Project. Lo ricordo come una visione senza senso e per quanto fossi in compagnia del mio Sleepover Club, età 14 anni (penso), mi ha lasciato un senso di inquietudine e malessere per cui mi sono ripetutamente chiesta “Ma perché?”.

Già, perché? Qual è il piacere che si prova nella tensione, a volte imbarazzante, che precede lo squartamento, lo sventramento, il sangue che schizza da tutte le parti, o che accompagna il classico scemo – che comunque s’è accaparrato il ruolo del protagonista – nel varcare una porta sopra la quale è chiaramente scritto Lasciate ogni speranza voi ch’entrate

Parlo per stereotipi, va bene. Però eddai, su.

Probabilmente, poi, nemmeno posso più di tanto star qui a blaterare e a offendere un genere cinematografico che neppure conosco, e infatti forse la risposta che vorrei a seguito della lettura di questo mio monologo frustrato è quella di un paziente cinefilo che si prende la briga di contattarmi in privato per dirmi: “Senti zia, lo capisco. Capisco il tuo punto di vista, davvero. Però guardati …, vedrai che ti ricrederai”.

Ichi The Killer, altro film che mi ha tolto l’appetito. In realtà l’ho interrotto ben prima della metà, di fronte a una scena che qui non spoilero ma che, davvero, m’ha fatto maledire Ludovica, bravissima ad ingannarmi con quel suo luccichio agli occhi mentre squittiva: “Lo devi guardare, è pazzeeesco”.

Ho visto anche The New Mutants, a pensarci bene. Mediocre, banale, zeppo di cliché. 

Mi rendo conto che un buon film horror debba indurre paranoia e ansia – elementi che di certo non rientrano nella mia To do List -, per poi, solo alla fine, far saltare lo spettatore dalla sedia, lo spaventello liberatorio, il rilascio quasi orgasmico della tensione che fino a quel momento l’ha tenuto ben contratto.

C’è chi dice che, ad oggi, gli horror sono cibo per quattordicenni: un genere che va subito al sodo, salta i preliminari, concede istantaneamente il piacere dello spavento. Tendenzialmente tocca tematiche vicine a quella fascia d’età, tralasciando argomenti un po’ più legati alle tensioni e ai timori adulti. 

Per carità, a me poco cambia: se dovessi assistere a un horror intelligentemente costruito attorno alle ansie dell’età più matura, probabilmente sarei ancor meno motivata a guardarlo. 

In ogni caso, pane per adolescenti o no, so per certo di non rientrare tra nessuna delle tipiche reazioni indotte dall’horror:

  • dimenticare la noia e la pesantezza della quotidianità? No need for that.
  • Sfogare i pensieri e le azioni inconsce che, insieme agli istinti, vengono messi a tacere? No, thanks. Let’s leave them there. 
  • Provare sensazioni forti, cercare le reazioni fisiche e biochimiche scatenate dal rilascio di dopamina, endorfina e adrenalina, tutti ormoni legati a sensazioni di benessere, felicità, euforia, riduzione dello stress? Drogarsi d’orrore, cioè? No, thanks. Always been scared of drugs.
  • Rivivere quel brivido che si prova da bimbi di fronte all’ignoto, al buio, ai mostri? No, God. Please no (da leggere alla Michael Scott). 
  • Provare un forte sollievo di fronte a situazioni terrificanti che, grazie a dio, non riguardano lo spettatore che seduto al caldo sul divano, al sicuro e distante, dissacra ciò che sta vedendo? Prende in mano le proprie paure e riesce, finalmente, a controllarle? Qui mi sorge spontanea solo una domanda: sarà un caso che proprio il pubblico femminile sia quello maggiormente attratto dal crime? Coincidenze? I don’t think so. 

Che dire, quindi. Se siete arrivate e arrivati fin qui, mi complimento per la pazienza. Il vincitore – colei o colui che mi contatterà per farmi ricredere sul genere – potresti essere tu!

Chiedo sincero perdono per aver sciorinato quasi ottocento parole di lamentela generica su un genere che, davvero, sento distante quanto, non lo so, il football americano. 

Settembre mi insegna a propormi nella stesura di un articolo solo dopo lo svelamento del tema del mese, oltre a dormire con un coltello sotto il cuscino, che non si sa mai che qualche mostro m’entri dalla finestra. 

Scritto da Silvia Lo Castro