Scritto da Redazione

Pubblicato il 09/09/2020

Fondo azzurro, una voce interroga da fuori campo, risponde il volto in primo piano fornendo nome, cognome, soprannome, capo d’accusa o di condanna e pena da scontare. 

A staccarsi dal fondo sono mezzi busti di uomini, quasi tutti con la pelle andina, tutti con qualche tatuaggio sul petto, i volti rispondo con lo sguardo simile fra loro. Queste presentazioni tornano più volte nel documentario di Walter Saxer girato a Sepa, un carcere immerso nella impenetrabile – sia per chi è fuori, che per chi vi è dentro – foresta peruviana.

Walter Saxer non è un nome particolarmente conosciuto nel cinema, eppure compare nei titoli, come produttore, della gran parte dei film di Werner Herzog, almeno fino a metà degli anni ‘00. Ed è proprio sui set di alcuni film suoi e di Herzog, Aguirre. Furore di Dio e Fitzcarraldo, che ha occasione di conoscere questo carcere sui generis nel mezzo del continente sudamericano. Il Perù, per Saxer, diviene sempre più casa dato che trova moglie, oggi ci vive, e nel 1980 nasce la figlia Micaela, che ora accompagna il film documentario del 1986 nella sua prima visione, a Bologna a Il cinema ritrovato, dalla riscoperta tra le cose custodite da mamma negli anni.
Grazie a questo ritrovamento, e all’impegno della Cineteca di Bologna e alla Cinémathèque suisse – Saxer è infatti svizzero, del cantone germanofono di St. Gallen – che hanno restaurato la copia, che ora è possibile vedere Sepa: Nuestro senor de los milagros.

Il film inizia non a Sepa, ma a Lima, in un carcere per come purtroppo si è abituati a conoscere e in particolare durante una rivolta da parte dei detenuti: riprese televisive, scontri con la polizia, fino alle immagini senza censure di accoltellamenti e uomini tenuti in ostaggio. Dopo questa presentazione della norma, si passa a quello che è il fulcro del documentario, il carcere di Sepa e la sua storia fatta dei suoi ospiti e di chi lo amministra. Il carcere non vede fili spinati né torrette di controllo, i detenuti sono lasciati chi più chi meno in libertà, con il compito di coltivare la terra che si estende a dismisura attorno alla capanne di fortuna in cui si svolge la vita domestica del carcere. Il clima, per questi uomini che nelle precedenti carceri avevano solo depauperato la propria condizione diventando dipendenti dalla cocaina e senza alcuna possibilità di svincolarsi dalla criminalità, è di fatica ma con uno spiraglio, un sentiero che nella foresta li possa allontanare dal male che hanno commesso e conosciuto.

La giustizia peruviana, tra detenuti con pena terminata comunque trattenuti in attesa di tangenti alle guardie, e con la totale dimenticanza di Sepa, si rivela infima nel suo funzionamento.

Ne è eccezione il direttore del carcere, un uomo attempato e all’apparenza saggio, che si muove tra i suoi detenuti con l’aria di essere una sorta di secondo padre per questa loro nuova vita.

Conosciamo alcune storie, Saxer le ha raccolte nei pochi giorni che dividono natale e capodanno assieme a un operatore e a un fonico. All’inizio non trova alcuna collaborazione, poi con l’escamotage della presentazione riesce ad individuare i più propensi a raccontare la propria storia.

Sotto l’aspetto formale inevitabilmente si sente l’eco del documentario herzoghiano: le lunghe panoramiche, le vedute sulla natura che sia flora o fiume, il racconto di vite al limite e appunto la presenza attiva di chi è dietro la macchina da presa, che pur senza mostrarsi appare e interviene tra le lamiere delle baracche, durante le festa di fine anno, o nell’intervista al detenuto che ora vive a Sepa con la propria moglie.

Quello che forse si avverte è la mancanza di un’attenzione al ritmo al pari livello di Herzog, ma sarebbe ingiusto criticare il film per una tale mancanza.

Resta invece un film di indubbio valore nel raccontare un carcere lontano da noi e soprattutto lontano dalle sbarre e le soverchierie tipiche delle carceri-magazzino per disperati considerati solo un fastidio per la società. Resta, sul piano cinematografico, un raro esempio, forse unico, di cugino di primo grado della vasta filmografia di Herzog, cosa non certo irrilevante. Sarebbe infatti un elemento da approfondire quello del ruolo di Saxer nei film di Herzog e viceversa l’impronta lasciata dal regista sul suo produttore una volta messosi lui alla regia.