Scritto da Redazione

Pubblicato il 10/02/2021

All’inizio dello spazio absidale, appeso tramite tiranti, uno schermo in formato verticale, davanti lo spazio per un piccolo pubblico all’interno di Cosmo, la chiesa sconsacrata che in Giudecca ospita atelier di musica ed è utilizzata per mostre ed installazioni. Questa, realizzata come laboratorio all’interno del corso di teatro dello IUAV, è il nuovo lavoro curato dal collettivo Anagoor. Un video diviso in ventidue capitoli, uno per ogni partecipante del laboratorio, dove in due ore si sviluppa il tema del titolo dell’installazione, In Your Face. Un esercizio. Un lavoro di autopresentazione del sé, che spesso nei corsi di teatro è utilizzato come esercizio, qua vuole essere la conclusione per mostrare il come ci si mostra; nell’intenzione di dare – come brevemente spiegano – l’impressione virtuale di un corpo, il suo simulacro, quando oggi questo appare nella sua lontananza e assenza. I ventidue corpi sono forse anche ventidue modi di intendere il teatro e la performance. Gli esercizi alternano le forme e i volti dei ragazzi, alcuni ricalcano una maniera altri ne cercano una propria. In complesso si ha una costruzione disomogenea e vittima quasi della sua stessa forma così legata all’ego di chi si presenta che i capitoli strabordano l’uno sull’altro portando più confusione che organicità al lavoro complessivo. I paletti, il paradigma posto da Anagoor, forse sarebbe stato più utile se fosse stato più invasivo, anche con il rischio di marchiare i lavori personali dandogli la veste del loro teatro, che è ormai tanto riconoscibile in ogni sua differente forma per la costanza dell’attenzione nel lavoro di curatela e regia di Simone Derai e compagni. Invece, di Anagoor si vede poco: chi più li ha frequentati riconosce la Conigliera, la loro base nella campagna veneta; si riconosce la tinta desaturata data all’immagine video; la divisione in capitoli, qui semplicemente la sequenza dei numeri romani a suddividere i vari performer; il sound design di Mauro Martinuz. Si riconosce poi, nel video, il formato verticale adattato al loro schermo, che da anni è presente nelle loro messe in scena. Questo schermo, nell’economia della loro messa in scena, va inteso come tavola di un’opera pittorica medievale: il fondo monocromo, come potrebbe esserlo quello oro dedicato all’arte sacra; la figura posta in evidenza. Così, in questa dimensione, i ventidue capitoli che si susseguono sullo schermo vanno visti come i ventidue pannelli di un unico complesso polittico. I ventidue pannelli mostrano altrettanti volti, intendendosi per volto la vera faccia del sé. Una rivelazione al di là dell’aspetto a favore di quanto uno racchiude e vuole e può mostrare.

Rapidamente, gli episodi mostrano: una provocazione alla Cage; una rassegna di disegni infantili; un discorso sull’abisso; nastro di carta messo e levato; l’incisione con fil di ferro del trucco; tre atti con al centro il punto di vista e la lingua dei segni; una maestosa matrona in bianco; un viso in primo piano strofinato da sapone; la respirazione tramite tubi di plastica di un collo dal grido spezzato; un viso coperto e ridefinito per materia; una divagazione su Venezia di Simmel in acqua; un uomo intimorito con post it che senza riuscire vogliono coprire il suo corpo; luci proiezioni ombre; un’ultima cena su Cristo morto di Mantegna; il mimo di un volo; una danza tra veli e silhouette; una messa a fuoco di un racconto; una lacrima i suoi contrari; una biografia per costumi; una avviluppante danza mortale; colla e carta messe e levate; la maschera di sé e la rottura dello specchio.

Nel complesso sono un lavoro di messa in scena che forse rende visibile il processo di soggettivazione, che appunto Foucault vede come un processo; quindi in questo la dimensione di messa in scena di sé è anche allo stesso tempo costruzione del proprio io, così che davanti al proprio volto di spettatore si ha un volto in divenire e in definizione. Di quanto sarà poi il futuro del processo non è dato conoscere. Di quanto sarà invece per il  futuro di Anagoor qualcosa lo si sa per via di un altro lavoro video – unica forma forse praticabile oggi, anche per chi fa teatro – che un mese fa ha svelato in parte quanto è stato realizzato in Germania per e con Roberto Ciulli e il suo Theater an der Ruhr. Tramite un’anteprima del materiale alla base della prossima rappresentazione, legato da un’intervista-monologo a Roberto Ciulli guidata dallo stesso Derai attorno al concetto di radice e alla sua relazione con la lingua, si ha avuto un assaggio di quanto sarà Der Römische Komplex. Appunti per una Germania. La base è da Tacito, ad innestarsi i testi di alcuni poeti di questi giorni di lingua tedesca e italiana; così la formazione di un’inedita costellazione con un’epigrafe per guida: “ci cura questa forma lapidaria”.