Scritto da Allegra Bell

Pubblicato il 26/05/2020

Poco più di 48 ore fa avrebbe dovuto concludersi la 73esima edizione del Festival di Cannes, rimandata in blocco al 2021 (fatta eccezione per il Marché du film, la sezione per addetti ai lavori) a causa della pandemia di COVID-19, insieme ad altre migliaia di festival cancellati o rimandati nell’ecatombe che ha travolto l’industria cinematografica mondiale. Mentre proprio in questi giorni Alberto Barbera conferma che la 77. Mostra del Cinema di Venezia si svolgerà al lido, molti altri festival nei mesi passati ed in quelli a venire hanno scelto di spostare la manifestazione completamente online. Anche questa scelta, però, non è esente da problemi.

La soluzione digitale per la competizione di Cannes, il festival che ha da sempre difeso con le unghie e con i denti il valore dell’esperienza in sala bandendo le produzioni Netflix dalla competizione, sarebbe stata semplicemente impensabile. Ma se la Croisette può rimanere immune a questa rivoluzione digitale, non c’è ragione per cui altri festival non debbano sperimentare una formula online — che potrebbe perdurare anche in seguito alla crisi. Come ha sottolineato la prof.ssa di cinema e direttrice del Ca’ Foscari Short Film Festival Maria Roberta Novielli durante il nostro podcast, molti non possono permettersi di far prevalere l’orgoglio sul pragmatismo: gli ingenti costi sostenuti per l’organizzazione di un festival non possono essere recuperati, se non spostandosi in rete. Anche in queste condizioni, però, accogliere l’alternativa streaming come una (o l’unica) soluzione applicabile in tutti i contesti non è scontato, in primis a causa delle numerose restrizioni in vigore volte a tutelare il sistema (tra queste, la regola che squalifica i film già distribuiti online dalle selezioni festivaliere).


Per quanto possa apparirci così, la relazione tra festival cinematografici ed internet non è una novità causata dall’emergenza sanitaria, anzi: praticamente tutti i festival utilizzano già il web come una parte parallela ed ancillare dell’evento. Tutti hanno un sito web, alcuni collaborano con siti di VOD (ad esempio Festival Scope) per far sì che una parte delle loro selezioni possa essere disponibile online in contemporanea al festival; altri, come la Mostra del Cinema di Venezia, organizzano live streaming di conferenze stampa ed eventi collaterali; altri ancora, come il Tribeca Film Festival o il Festival du film d’animation d’Annecy, hanno sezioni competitive esclusivamente tenute online. Anche i festival che hanno luogo
esclusivamente in rete sono apparsi fin dall’inizio degli anni 2000 e alcuni, come il My French Film Festival e il Notodofilmfest hanno raggiunto milioni di spettatori. La struttura e le funzioni ricalcano quelle degli
eventi tradizionali: sostanzialmente offrire ad una nicchia di cinefili ed all’industria cinematografica una piattaforma per quelle produzioni che faticano ad essere distribuite in sala e nei canali mainstream.


Ma se dal punto di vista tecnico trasportare il festival online può essere fattibile, trasporre l’atmosfera comunitaria e vissuta in rete non è altrettanto facile. Ogni anno ad un festival cinematografico si ritrovano
cinefili, giornalisti, registi, attori, addetti del settore che giungono da tutto il mondo. Questo gruppo variegato di persone abita gli stessi luoghi e condivide una routine che per rigore e senso comunitario il critico cinematografico e direttore dei Cahiers du Cinema André Bazin paragonava ad un “Ordine religioso”. Un festivalier abita (sia in senso fisico che simbolico) i luoghi del festival: si sposta da una proiezione all’altra, passa anche ore in fila per vedere un film o una star sul red carpet e poi si siede ad un lounge bar con un drink in mano. Con il passaggio all’online, cosa ne è dei legami sociali? Cosa ne è della dimensione comunitaria data dalla visione collettiva nell’ambiente festivaliero? E delle chiacchiere con il vicino di coda e delle impressioni scambiate alla riaccensione delle luci in sala? In una parola: cosa ne è della comunità?

È questo uno degli aspetti cruciali che vengono minati nella versione digitale del festival: la sensazione di “essere lì” in carne ed ossa, ma soprattutto di “far parte di qualcosa”. Tutto ciò che circonda la visione dei
film — la presenza di attori, registi, i Q&A, gli eventi mondani —contribuisce all’atmosfera del festival e in alcuni casi incide di più sull’esperienza di una persona che i film che vengono proiettati.



Il festival cinematografico àncora la visione al qui e ora: definisce un tempo che non è “dopo”, non è “in qualunque momento”, né a casa, né sul treno o su un cellulare, ma ora. Dall’altro, è dipendente da un’articolazione del qui in quanto spazio fisicamente abitato e condiviso con altri. Il festival, in poche parole, è un’esperienza collettiva che non va considerata esclusivamente come all’interno di un mero processo economico inserito nel mercato, ma come un evento capace di riunire un’intera comunità
(internazionale) e confermarne o trasformarne la fisionomia.


Si dice che nel cinema ed in letteratura parlare del futuro sia sempre un modo per parlare del presente sotto mentite spoglie. Questo articolo ha provato, in minima parte, a fare il contrario: accennando all’esperienza del festival virtuale si sono poste domande riguardo al futuro dei festival cinematografici in quanto spazi comunitari. Se la crisi sanitaria ha portato a un’accelerazione nel modello di fruizione digitale dei festival e del cinema, la speranza è oggi più che mai quella di tornare a stare l’uno con l’altro. Per quanto un’interfaccia web possa essere user-friendly o un forum attivo, rimane l’idea che la rete non potrà mai sopperire alla voglia e all’esigenza di una comunità di aggregarsi, ai corpi d’incontrarsi, di condividere il piacere della visione in sala.