“Io sono Cuba. Tempo fa, Cristoforo Colombo arrivò qui. Scrisse nel suo diario: ‘Questa è la terra più bella che gli occhi umani abbiano mai visto.’ Grazie, Signor Colombo. Quando mi vedesti per la prima volta, stavo ridendo e cantando. Sventolai le fronde dei miei palmi per accogliere le tue vele. Credetti che le tue vele avrebbero portato felicità.  Io sono Cuba. Le barche presero il mio zucchero, e mi lasciarono in lacrime. Strana cosa… lo zucchero, signor Colombo. Contiene così tante lacrime, eppure è così dolce…”

Con queste parole, una voce calda e sensuale accompagna dolcemente un lento piano-sequenza che naviga tra le palme e sorvola la costa cubana. È così che ha inizio SOY CUBA, un film che venne commissionato nel 1964, durante il periodo di maggior collaborazione tra l’URSS e il nuovo governo di Fidel Castro, e che ad oggi rimane un simbolo della Rivoluzione Cubana.  Mikhail Kalatozov diresse il film abbandonando la narrazione unitaria, descrivendo gli aspetti della società cubana grazie a quattro storie, legate dal filo rosso della violenza e dalla voce di Cuba, la narratrice onnisciente che si rivolge direttamente al pubblico. 

Si tratta di un’esplicita propaganda cinematografica con sfumature artistiche, che accompagnano lo spettatore in un mondo stracolmo di povertà, disillusione e spregiudicata prepotenza. Dalla situazione di sottomissione emergerà però anche la tenacia, rappresentata dalle lotte studentesche e dai guerriglieri che desiderano liberare il paese dalle grinfie di Fulgencio Batista. Quando guardai questo film per la prima volta, mi sembrò scontato che gli americani non l’avrebbero mai proiettato nelle loro sale. La pellicola presenta gli uomini d’affari stranieri come i meschini antagonisti che pensano solamente a soddisfare il loro piacere, mentre i cubani vedono nella rivoluzione castrista l’unica possibilità di riscatto.  Siamo nel bel mezzo della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, e SOY CUBA è il classico manifesto di condanna dei simboli dell’imperialismo capitalista statunitense. 

Ma la peculiarità di questo film sta nel fatto che la censura non avvenne per mano degli americani.  SOY CUBA si rivela un flop e viene ritirato dalle sale dagli stessi russi, che lo considerarono “troppo poco rivoluzionario”. Il particolare uso della macchina da presa di Kalatozov distraeva l’attenzione del pubblico da quello che doveva essere il punto focale del film, l’esaltazione della rivoluzione, e i cubani consideravano la rappresentazione fin troppo stereotipata, tanto da ribattezzare il film NO SOY CUBA e non riportarlo più in sala.  Quarant’anni dopo, quest’opera verrà scongelata da Francis Ford Coppola e Martin Scorsese, e verrà realizzato un documentario intitolato Soy Cuba. Il mammut siberiano per spingere il pubblico a rivisitare questo fossile cinematografico.  La grande qualità tecnica e artistica del film, che aveva portato alla sua iniziale censura, ora è il motivo per cui SOY CUBA viene considerato un capolavoro della cinematografia mondiale. 


Scritto da Isabel Musoni