Scritto da Ludovica Lancini

Pubblicato il 23/07/2020

I colori pastello, i problemi famigliari, i movimenti di macchina geometrici e veloci sono solo alcuni dei tratti caratteristici della cinematografia di Wes Anderson. In costante equilibrio tra estetica e disagio, Wes ci regala da anni opere che hanno sempre qualcosa da dire. Stilare un elenco di tutto ciò che contribuisce a creare l’immaginario poetico di Wes sarebbe probabilmente impossibile, ma ci sono alcuni elementi che ritornano con costanza. Forse i tratti più facilmente riconoscibili sono i dialoghi arguti, in cui riecheggiano sia freddezza che disinvoltura e che contribuiscono a creare il clima malinconico tipico dei suoi lavori, l’uso suggestivo dei colori primari e le riprese dall’alto e in primo piano di mani, lettere e altri oggetti quotidiani, che permettono sia lo scorrimento della trama che la caratterizzazione dei personaggi. Questi elementi sono facili da riconoscere, ma rappresentano solo la superficie dell’estetica di Anderson

I suoi protagonisti maschili sono spesso egocentrici e arroganti, segnati da depressione, dubbi e rabbia. Sono, nella maggior parte dei casi, padri incapaci di rivestire il proprio ruolo da genitori. Al contrario, le sue protagoniste femminili sono calme e ragionevoli e grazie a questi loro tratti riescono a tenere unita la famiglia, mettendo in secondo piano i propri problemi. Il nucleo familiare viene spesso distrutto da divorzi, infedeltà e morte e viene sostituito da “surrogati” che comprendono amici, colleghi o piccoli gruppi di scout. I personaggi sono feriti, ma non sono ancora giunti al punto di non ritorno. I film alternano infatti una struttura ironica, che si mantiene distaccata e disinteressata, e una sincera, che cerca connessioni e affetto. I bambini sono l’elemento cardine che ci permette di comprendere l’inadeguatezza degli adulti, proprio perché riescono a comportarsi in maniera più matura degli adulti stessi. 

I tradimenti, i fallimenti e la forte ansia dei personaggi vengono addolciti dal finale, in cui si trovano riuniti, elemento rivelato stilisticamente da una veloce carrellata. La situazione di pace finale può portare a esprimere la propria agognata felicità danzando (come in Rushmore o Fantastic Mr. Fox) o riunendosi, allietati dal finalmente raggiunto buonumore (come in The Royal Tenenbaums o The Life Aquatic of Steve Zissou). Wes riesce a creare il suo mondo, o forse è meglio dire i suoi mondi. Dall’idillica scuola in Rushmore, alla New York quasi mitica in The Royal Tenenbaums, alla campagna inglese in Fantastic Mr. Fox, all’albergo un tempo prestigioso in The Grand Budapest Hotel, ogni film cambia drasticamente ambientazione, come se ci fosse uno stacco e un passaggio netto tra un mondo e il successivo. Ma Wes ammette: ”Mi sembra plausibile che i miei personaggi potrebbero spostarsi da un mio film ad un altro e tutto avrebbe ancora senso”. 

Per rendere più chiara questa affermazione basta pensare al trittico costituito da Hotel Chevalier, The Darjeeling Limited e dallo spot pubblicitario per Prada Castello Cavalcanti. Hotel Chevalier è un cortometraggio che introduce e precede The Darjeeling Limited, raccontandoci una strana storia d’amore tra Jack e la sua ex ragazza storica, interpretati rispettivamente da Jason Schwartzman e Natalie Portman. La decisione di Anderson di presentare due opere separate enfatizza l’idea che Hotel Chevalier sia un universo narrativo a sé stante. In realtà potrebbe trattarsi di un piccolo microcosmo contenuto nel macrocosmo di The Darjeeling Limited, in cui Jack fa spesso riferimento a questo rapporto d’amore particolare avuto in precedenza e ancora in corso in qualche strana maniera. Nello spot Castello Cavalcanti (traduzione letterale di chevalier) torna Jason Schwartzman, che guida una delle macchine delle Molte Miglia in un piccolo borgo italiano. Notiamo che la sua divisa presenta lo stesso colore e la stessa scritta dell’accappatoio indossato nel Hotel Chevalier parigino, che porta anche sul treno in The Darjeeling Limited. Un altro elemento particolare che risuona in Castello Cavalcanti è la questione della comunicazione. Jason si trova in Italia e comunica con i tipici vecchietti del paese, che capiscono quello che dice ma rispondono in italiano, solamente in inglese. Nonostante i personaggi riescano a comunicare in questo modo particolare, si crea un forte senso di straniamento a causa di questo scambio di battute in due lingue diverse. In The Isle of Dogs abbiamo una situazione diversa nella quale i cani capiscono e parlano solo l’inglese, mentre gli esseri umani solo il giapponese. Anche in questo caso si crea un effetto quasi disturbante, di una vera e propria Babele. 

Altra caratteristica peculiare di Anderson consiste nella decisione di sfruttare i medesimi attori in ogni film, a volte anche solo per piccole comparse, tra cui il sopracitato Jason Schwartzman, Bill Murray, Adrien Brody, Willem Dafoe, Luke Wilson, Kumar Pallana, Jeff Goldblum ed Anjelica Huston. Attore onnipresente (anche solo per pochi secondi come nel Grand Budapest Hotel) è Owen Wilson, con cui Wes ha un rapporto molto particolare. Famosissima la fotografia in cui saltano di gioia fuori dagli uffici della Columbia Pictures dopo l’accordo per la realizzazione di Bottle Rocket, il loro film d’esordio (che era stato preceduto da un cortometraggio che portava lo stesso titolo). 

Wes Anderson e Owen Wilson nel famoso scatto fuori dagli uffici della Columbia Pictures

Anderson dà vita a personaggi cinematografici “puri”, dandogli un’impronta distintiva e che ha poco a che fare con le persone reali. I personaggi cinematografici “puri” non si rifanno ad esperienze di vita autentiche, ma sono costruiti in maniera improbabile e spesso assurda. La “condizione critica” dei suoi personaggi si fonda su genuine questioni esistenziali. Dignan (Owen Wilson, Bottle Rocket), con il suo carattere infantile a tal punto da diventare fastidioso, ha come obiettivo non tanto la rapina, quanto il costruirsi una propria identità da fuorilegge. Max Fischer (Jason Schwartzman, Rushmore) evita in maniera particolarmente attiva, iscrivendosi a tutti i club che la scuola propone e creandone continuamente di nuovi, di iniziare a costruirsi un proprio futuro al di fuori del mondo accademico. Steve Zissou (Bill Murray, The Life Aquatic with Steve Zissou) è perseguitato da impegni filiali e dalla ricerca dell’autenticità. Royal (Gene Hackman, The Royal Tenenbaums) agisce contro ogni etica per provare a ricongiungersi con la propria disastrata famiglia. I fratelli Whitman (Owen Wilson, Adrien Brody, Jason Schwartzman, The Darjeeling Limited) si avventurano in un viaggio esistenziale per ritrovare se stessi e un importante rapporto perso nel corso del tempo. Sam Shakusky e Suzy Bishop (Jared Gilman e Kara Hayward, Moonrise Kingdom) si alleano contro il modello familiare e sociale per costruirsi una propria realtà con le proprie regole, senza restrizioni di alcun genere.

La critica più comune rivolta a questo film riguarda il fatto che questo “mal di vivere” che accompagna i due ragazzi in realtà sia destinato a passare con l’arrivo dell’età adulta. In realtà il loro atteggiamento non deriva dalla “confusione preadolescenziale”, quanto dal reale rifiuto alle condizioni imposte dalla società. Sappiamo infatti che Wes raramente presenta gli adulti come punti di riferimento maturi ed equilibrati dal punti di vista emotivo. I suoi personaggi non sono dunque un riflesso della società, ma una sorta di rifrazione dell’ansia esistenziale contemporanea addolcita dall’estetica idiosincratica tipica dei suoi lavori. 

La fusione di queste caratteristiche con un registro prettamente comico fa sì che lo spettatore rida per il modo in cui Wes tratta le situazioni melodrammatiche, così come si commuova per le disavventure dei personaggi. 
Wes sembra aver messo in piedi un altro mondo nell’attesissimo The French Dispatch, la cui uscita è stata rinviata a causa dell’emergenza sanitaria. Anche qui tornano gli attori a cui è affezionato e ne appaiono di nuovi interessanti, come Benicio del Toro e Timothee Chalamet.