Un uomo vaga nel bel mezzo del deserto, al confine fra Messico e Stati Uniti. Ciò che rende ancora più singolare questo personaggio è il suo abbigliamento: indossa un abito elegante sgualcito e un cappellino rosso da baseball. Da quanto è in viaggio? Da giorni, mesi, anni? Qual è lo scopo di questo suo vagabondare? Solo uno, raggiungere Paris, in Texas. 

Il nome del nostro stralunato personaggio è quello di Travis (interpretato da Harry Dean Stanton) che, scomparso da quattro lunghi anni e datosi completamente al nomadismo, riversa in una condizione di mutismo assoluta. Il motivo della sua scomparsa è dovuto ai costanti litigi con la bellissima moglie Jane (Nastassja Kinski). Un rapporto intriso di gelosia e possessione che portano il protagonista a vivere un’esistenza allo sbaraglio il cui unico scopo rimane, non importa come e quando, di raggiungere la città di Paris in Texas, luogo in cui fu concepito dai suoi genitori. 

Harry Dean Stanton in una scena del film

A Paris,Texas quest’ultimo compra un terreno per costruirci la casa dei suoi sogni e per viverci insieme alla moglie ed il figlio Alex ma, ça va sans dire, la follia amorosa che nutre il protagonista  per Jane, non permetterà mai a questo sogno di realizzarsi. Il regista tedesco Wim Wenders si impegna ad attribuire al personaggio di Jane, in quanto femme fatale, tutti i connotati di una vera e propria ninfa moderna: il desiderio di chi la circonda è quello di volerla possedere, ma come tutte le ninfe, il bisogno di libertà è costitutivo della sua natura non lasciandosi mai veramente catturare. Nel suo testo La Follia che viene dalle Ninfe, edito per Adelphi, Roberto Calasso scrive: “il corpo delle ninfe era il luogo stesso di una conoscenza terribile, perché al tempo stesso salvatrice e funesta: la conoscenza attraverso la possessione. Una conoscenza che concede la chiaroveggenza, ma in grado di consegnare chi la pratica fra le maglie della follia. Il paradosso della ninfa è questo: possederla significa essere posseduti. Travis, posseduto dalla follia d’amore per Jane, abbandona il lavoro per starle sempre vicino, alimentando spropositatamente il suo desiderio d’indipendenza; fin quando un giorno, si rende conto che ogni suo minimo sforzo per acciuffarla è vano. Non potendola possedere, ogni motivo d’esistenza razionale viene meno, l’unico modo per vivere diventa quello di sopravvivere alle nefaste intemperie dell’amore e ciò diviene possibile solo scappando il più lontano da lei, inghiottito dalle fauci del deserto e collocandosi in un tempo senza linearità, dove non c’è più un ieri e un domani, ma solo un eterno afoso presente. Quando questa pellicola esce al cinema siamo nel pieno degli anni Ottanta: Wim Wenders ci restituisce uno spaccato di vita che prende le distanze dallo sfarzo e dal glamour americano di quegli anni. Il suo è un film esistenzialista che ha come centro della sua trama un ingombrante protagonista: il viaggio. E come direbbe Céline in Viaggio al termine della Notte: “viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica”.

Scritto da Francesca Pascale