Pubblicato il 02/08/2021

Scritto da Michelangelo Morello

Qual è il modo corretto di amare? Ne esiste uno, dopotutto? Ogni tentativo condotto al fine di dare una risposta a queste domande sembra sempre inutile. Nell’abbozzare un pensiero che dia forma alle proprie e personali verità, spesso ci si affida alle citazioni di grandi poeti o grandi artisti del passato che hanno saputo dare voce alle sensazioni che ogni essere umano prova nel corso della propria vita. Sensazioni, queste, che possono essere riassunte per sommi capi, timidamente categorizzabili, ma che non possono essere riprodotte con lo stampino poiché l’amore, nonostante gli sforzi degli artisti e dei pazzi, non è definibile né tantomeno controllabile.


Victor, princesa atipica della quarta fatica del regista Matías Piñeiro (La princesa de Francia), è il vertice di un triangolo o meglio di un pentagono, forse addirittura di un ettagono amoroso (francamente si perde il conto dei personaggi coinvolti e poco importa definire il numero preciso di angoli) che coinvolge le attrici della compagnia teatrale che lui stesso ha allestito dopo essere tornato da un lungo viaggio in Messico. Il principe, perché di un maschio etero si tratta, intrattiene delle relazioni confuse e prive di trasporto passionale con ognuna delle ragazze coinvolte nel progetto, anch’esse per nulla sincere nei suoi confronti. Tuttavia, Victor non domina la situazione, anzi anch’egli è vittima dei capricci di Paula, Ana, Lorena, Natalia e Carla che lo abbandonano, tornano e lo tradiscono: non c’è potere, nessuno ne è detentore. La confusione sentimentale di cui tutti i personaggi sono vittima si rispecchia nell’orgia castrata che il film mette in scena. Sebbene la locuzione che dovrebbe essere la più sincera di tutte, “te amo”, venga spesso detta da Victor e ricambiata dalle ragazze, non sembra sincero, forse perché nessuno dei protagonisti lo ha mai provato e quindi ne ignora la potenza e il significato.

Nonostante la parola sembri essere l’elemento preponderante dell’intera messa in scena, fondamentale dunque per capire le sensazioni che prova ognuno dei protagonisti, è invece l’immagine lo strumento adatto a penetrare il loro animo. A favorire l’indagine psicologica dei personaggi sono i ricorrenti primi piani sui volti di Victor e delle sue comari, sui quali sono spesso dipinti sguardi vacui e assenti che tradiscono un completo disinteresse dell’uno nei confronti delle altre, e viceversa. Sembra che i protagonisti forzino delle emozioni al fine di evadere dai primi veri problemi che la vita pone davanti a dei giovani adulti: come l’elaborazione di un lutto familiare, la ricerca di un lavoro o l’affermazione professionale nel proprio ambito di studi. Essi preferiscono, dunque, rifugiarsi nelle esperienze amorose per cercare un supporto o semplicemente qualche momento di amnesia che consenta loro di ritrovare attimi di pace e tranquillità. Questa falsità che intercorre fra Victor e le sue donne è resa evidente dai baci brutti e sfuggenti che furtivamente e senza passione essi si scambiano. Gli unici corpi nudi mostrati sono quelli dei soggetti femminili rappresentati dai pittori del passato, opere che, per altro, nell’epoca in cui furono composte, vennero considerate scandalose dal pubblico che esperiva dell’arte e quindi ghettizzate al salon de refuse.

L’occhio indugia sulle forme delle donne dipinte che vengono lentamente indagate, quasi fosse un modo vicario per consumare un atto sessuale che è completamente assente: le promesse d’amore che i protagonisti si scambiano, i flirt continui non vengono mai consumati e quindi, in un certo senso, non vengono legittimati.  Se non dimostriamo con l’azione consapevole e controllata, che è tipica dell’uomo che è dotato di intelletto e quindi capace di intendere e di volere, il sentimento più puro e meno definibile con la parola, in quale altro modo riusciremo ad essere sinceri con noi stessi e quindi avere la possibilità di trovare il nostro posto nel mondo?