Pubblicato il 09/10/2021

Scritto da Michelangelo Morello

“Ho ucciso mia madre. Mani sul volto: ammissione di colpevolezza. Atto sbagliato? Atto grave, certo, ma necessario, a volte. Questa è una di quelle volte, era necessario. Non l’ho uccisa davvero, cioè l’ho fatto ma non ho sparato un colpo, né ho sferzato un fendete. Nemmeno l’ho menata anche se può essere capitato che l’abbia stretta forte o l’abbia spinta durante una discussione accesa. Ne abbiamo avute parecchie di recente, di discussioni accese, e uno alla fine, esasperato, capite bene che o l’uccide o diventa succube di un mondo che non gli appartiene. Ho questi pensieri da diverso tempo e ho cercato di resistere, perché in fondo l’amo. È ovvio che l’amo, è mia madre. È mia madre, presente indicativo perché lo sarà sempre. L’ho uccisa, è vero, ma parte di lei resterà per sempre, e meno male. Intendiamoci una volta per tutte, l’omicidio è avvenuto nella mia mente: non è assoluto, ma è fatto. A ben guardare è segno d’un atteggiamento coraggioso (non virtuoso, questo no) e per questo lodevole. Ho 16 anni, so come funziona il mondo e lei mi è di impedimento perché continua a cambiare la serratura ai lucchetti delle catene che mi costringono nel suo mondo, ma che non può essere il mio. Ho acquisito abbastanza esperienza, ho vissuto abbastanza situazioni per capire che ogni persona crea la propria identità personale, fatta di certi valori e certe abitudini; alcune identità si somigliano, sono compatibili, come la mia e quella del mio ragazzo Antonin ed è per questo che andiamo d’accordo. È per lo stesso motivo che io non potrò mai andare d’accordo con mia madre, perché abbiamo visioni totalmente opposte. Potrebbe essere la madre di chiunque, ma non la mia e infondo mi dispiace, tanto. “

“Mio figlio mi ha uccisa. Il mio unico figlio, poi. Sai che me ne importa, nemmeno lo volevo. È capitato. E poi la mia vita non ruota intorno a lui. Non sono una di quelle madri che reimposta la propria vita sul figlio. Che sia in casa o sotto un ponte, a drogarsi o in palestra ad allenarsi per avere un corpo sano, non me ne importa nulla. La vita è sua, io la mia parte l’ho fatta. Poco male, una preoccupazione in meno. Però che quello stronzetto mi abbia ucciso proprio mi infastidisce, non lo sopporto. Insomma, sono sua madre. Anche io soffrivo quando mi insultava, quando litigavamo e mi diceva che ero una madre orribile. Come se sapesse fare la madre meglio di me. Io l’ho ucciso? Non mi sembra proprio, ho resistito e avrei continuato finché avrebbe compiuto 18 anni almeno, era mio dovere, ma lui ha scelto diversamente. Non sa cosa ho passato in questi anni: io ho modificato la mia identità per lui e come ringraziamento mi uccide. Bel ringraziamento, davvero. La sua supponenza da adolescente mi infastidiva: la sua vita non è solo sua è anche mia, sono sua madre e me lo deve. Non ero distratta, gli facevo dei dispetti: mi chiedeva qualcosa e prima gli davo il permesso, ma poco dopo mi rimangiavo tutto. Lo facevo apposta perché volevo rimanere nella sua vita, fargli vedere e percepire il peso che avevo ancora sulle sue iniziative. E lui mi ha uccisa. Non volevo mandarlo in collegio, ma lui voleva andarsene a vivere da solo, a fare l’adulto. Almeno in collegio avrei saputo dove fosse, sarebbe stato protetto e avrei saputo dove cercarlo. Non so se, un giorno, tutto tornerà come quando era bambino, non credo andremo mai d’accordo. Però so che non mi ha uccisa davvero, non del tutto. Sono dentro di lui, che gli piaccia o meno e non me ne andrò mai perché sono sua madre. “