Sono passati dieci anni da quando La vita di Adele (La vie d’Adèle – Chapitres 1 & 2) ha trionfato a Cannes nel maggio del 2013. La giuria, quell’anno presieduta da Steven Spielberg, decise all’unanimità di assegnare – per la prima volta nella storia – la prestigiosa Palma d’Oro non soltanto al regista, Abdellatif Kechiche, ma anche alle due attrici protagoniste: Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux. Vittoria che rimane tutt’oggi tra le più controverse e divisive di sempre, dato che il film destò non poco scandalo per la presenza delle lunghissime ed esplicite scene di sesso tra le due ragazze. Tra chi ha descritto la pellicola come al limite della pornografia, e chi ha accusato Kechiche di aver utilizzato un punto di vista troppo voyeuristico, a La vita di Adele va quantomeno riconosciuto il merito di aver portato sullo schermo le insidie e i turbamenti che caratterizzano l’amore giovanile con estremo realismo e naturalezza. E non solo. A dieci anni dall’uscita, vediamo cosa resta di un film che, amato od odiato che sia, per le nuove generazioni rappresenta ormai un titolo di culto tra quelli che trattano tematiche queer. 

Actors Adele Exarchopoulos, left, and Lea Seydoux pose during a photo call for the film La Vie D’Adele at the 66th international film festival, in Cannes, southern France, Thursday, May 23, 2013. (AP Photo/Francois Mori)

La vita di Adele prende spunto dal romanzo a fumetti Il blu è un colore caldo di Jul’ Maroh. Adele (Adèle Exarchopoulos) è una liceale francese al quarto anno, alla ricerca di una presa di consapevolezza di sé e della propria sessualità. Estremamente emotiva, insaziabile di cibo ma anche di vita; quei suoi capelli sempre arruffati e lo sguardo costantemente assorto danno origine a un mix contraddittorio di goffaggine e sensualità. Dopo alcune prime deludenti esperienze, incontra Emma (Léa Seydoux), eccentrica e magnetica studentessa di belle arti dai capelli blu, più grande di qualche anno e decisa nell’inseguire il suo sogno di diventare un’artista affermata. Emma, a differenza di Adele, non ha alcun dubbio sul fatto che preferisca le ragazze ai ragazzi – come dichiarerà durante una delle loro prime conversazioni – e  sfrutta la propria arte proprio come uno strumento di rivendicazione della propria libertà sessuale. 

Il primo incontro tra le due ci viene presentato come un vero e proprio coup de foudre, da qui, poi, i primi appuntamenti e lo sbocciare di un amore intensissimo trainato da una forte tensione erotica, ma anche da un’estrema tenerezza. A poco a poco, tuttavia, le differenze culturali e sociali tra le due ragazze daranno vita a una distanza difficile da colmare, e quel sentimento inizialmente così intenso e totalizzante comincerà a indebolirsi. 

La narrazione si serve di ampi salti temporali per mostrarci come i diversi ritmi e stili di vita delle due, che decideranno anche di convivere insieme, finiranno per allontanarle nonostante la forte passione che le lega. Se Emma passa le sue giornate dedicandosi alla sua arte e circondata dal suo entourage di intellettuali e artisti, Adele lavora come insegnante in una scuola dell’infanzia, un mestiere che agli occhi della compagna sembra troppo “semplice” e povero di ambizione. 

Il film di Kechiche è un’opera sincera, un romanzo di formazione che mette lucidamente in scena il dramma giovanile della ricerca e della scoperta di sé. Alcuni aspetti, forse, si perdono per strada e non vengono adeguatamente approfonditi: non vi è nessun confronto di Adele con i suoi amici più cari rispetto alla sua frequentazione con Emma, come pure si intende che lei non abbia mai parlato ai propri genitori della sua attrazione nei confronti delle ragazze – e non è molto chiaro se e quanto la cosa possa ferirla. Al netto di queste “disattenzioni”, tuttavia, il racconto mantiene per tutti i 180 minuti un tono realista e allo stesso tempo spontaneo, complice una una scrittura efficace, densa di sottotesti, e le eccellenti prove attoriali di Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos. E proprio Adele incarna, senza se e senza ma, il perno su cui ruota l’intera storia. Il titolo del film, d’altronde, non è casuale. 

Sin dalla prima inquadratura, lo spettatore inizia a seguirne gli sguardi sfuggenti e a cercare di decifrarne i pensieri. La macchina da presa indugia continuamente sul viso della ragazza e sui quei grandi occhi scuri che sembrano sempre alla ricerca di un altrove indefinito, quel “chissà dove” in cui ci rifugiamo quando ci rendiamo conto di non sapere bene quale sia il nostro posto del mondo. E il posto di Adele, per un po’, diventerà quello di Emma e del loro amore giovane, passionale, totalizzante. La loro casa piena di quadri dove Adele, nuda, diventa la musa per eccellenza dell’estro artistico della compagna. Probabilmente il posto che fino ad allora Adele aveva sempre cercato, nonostante si rivelerà essere solo una stazione di passaggio. 

Ed ecco che il blu, colore con cui Emma si tinge i capelli e tonalità fredda per definizione, diventa metaforicamente il colore più caldo dell’intera palette del film di Kechiche. La fotografia e le scelte sull’utilizzo della luce, infatti, assumono per il racconto un ruolo fondamentale. Il blu torna continuamente, lo ritroviamo quasi in ogni inquadratura, seppur in diverse sfumature:  sono blu molti dei vestiti di Adele (è bellissimo quello che indossa nella scena conclusiva), come sono blu le pareti della sua camera, i cuscini sul suo letto. Blu è la porta dell’appartamento dove le due ragazze vanno a vivere insieme, alcune stanze della scuola di infanzia dove lavora Emma, le luci dei locali dove va a ballare, l’acqua del mare dove si immerge in un tuffo consolatorio in una delle ultime e delle più belle sequenze del film. Non una semplice scelta estetica, bensì il minimo comune denominatore dell’intero girato, come a suggerire che Adele quell’amore così travolgente se lo porterà con sé per tutta la vita, probabilmente perché l’ha aiutata a mettersi meglio a fuoco, mostrandole quale fosse la strada da seguire per imparare a conoscersi e riconoscersi. 

Grandissima rilevanza viene data anche ai corpi. I corpi nudi e bellissimi di Adele ed Emma che si cercano, si sfiorano, si toccano, e si possiedono l’un con l’altro, in quelle che sono diventate tra le scene di sesso saffico più celebri della storia del cinema recente. Nonostante si tratti di circa dieci minuti sui 180 totali, soprattutto a una prima visione del film, l’impatto è davvero forte: niente viene lasciato all’immaginazione e i movimenti, l’ansimare, i gemiti, vengono ripetuti e reiterati con un’insistenza che può stancare chi non ama il troppo esplicito. Tanto realistico è l’effetto ottenuto che, al tempo, molti si sono chiesti se non sia stato tutto vero, senza che vi fosse il filtro della finzione filmica. Eppure no, Lèa Séydoux aveva replicato dicendo non avrebbe recitato nel film se le scene di sesso con la collega Adèle Exarchopoulos fossero state reali. Ad ogni modo, sul tema non sono mancati gli attriti tra Kechiche e le due attrici, che in più occasioni lo hanno ritratto come un perfezionista maniacale, dichiarando che per quelle sequenze sono serviti 10 giorni di girato, con giornate in cui si arrivava a girare per 14 ore di fila. 

Oggi, al netto di tutte le controversie che tutt’ora il film trascina con sé, la Vita di Adele rimane un’opera molto importante nel panorama del cinema contemporaneo, che merita almeno una visione. Un coming-of-age potente, testimone della difficoltà del passaggio dall’adolescenza alle prime fasi dell’età adulta, una di quelle fasi della vita dove è facile sentirsi persi, insoddisfatti, estranei persino alla nostra immagine riflessa nello specchio. Con l’idea di essere sempre fuori posto, proprio come i capelli di Adele, che la ragazza risistema di continuo alla meno peggio. Testimone, ancora, di quanto l’amore sia salvifico e allo stesso tempo distruttivo, un rifugio dolcissimo eppure  tremendamente doloroso: una delle sequenze più intense del film è quella dove Emma scopre del tradimento di Adele e decide di cacciarla da casa. Un film, in altre parole, sulla complessità della crescita e sulla fragilità delle relazioni umane. Con una caratterizzazione dei personaggi – in particolare delle due protagoniste – davvero riuscita, grazie non solo a quanto viene detto, ma anche a ciò che rimane non detto e viene solamente suggerito, dallo sguardo della macchina da presa o da una scelta di montaggio. E un dato di fatto: la sequenza in cui Adele balla sulle note di I Follow Rivers di Lykke Li è una delle scene danzate più belle e genuine del cinema recente. 

Scritto da Ambra Farinelli