Siamo ormai stati vaccinati alla visione di performances drammatiche del brillante e giovane Timothée Chalamet, la cui ricerca di ruoli ricade spesso nel voler esplorare la profonda umanità di personaggi outsider al nostro mondo quotidiano. Se da un lato questo enfant prodige ci colpisce emotivamente, ciò che più stupisce in questo film è la performance drammatica di Steve Carrell, il quale mostra  tutta la sua versatilità nell’essere un attore poliedrico e dai mille talenti.

Timothée Chalamet e Steve Carrell in una scena del film

La pellicola diretta da Felix Van Groeningen è un lungo e tortuoso viaggio di centoventi minuti nella vita tormentata  di un giovane – e bellissimo – ragazzo dipendente dalla crystal meth, e del rapporto con il padre che, invano, cerca di aiutarlo. Luci ed ombre si alternano nella vita del tossicodipendente Nick Sheff: ragazzo brillante, con un talento innato per la scrittura. I momenti di euforia causati dallo stato psicotropo della sostanza, la quale viene in un primo momento inalata dal protagonista e poi successivamente iniettata per endovena, alterna stati di piacere dionisiaco a forti down depressivi, i quali sono i primi sintomi di una forte ed inevitabile dipendenza psicofisica. Il luccichio nello sguardo di Nick – a mano a mano che il film affronta tutte le tappe di questa discesa negli inferi – sembra spegnersi delicatamente, come la fiammella di una candela, lasciando spazio a degli occhi verdi, vuoti. Ciò che mi colpisce di più nella visione di questo film, e nel prendere atto che le vicende narrate traggono spunto da una storia realmente accaduta, è che nonostante l’amore incondizionato e l’aiuto costante  da parte dei suoi genitori, il protagonista non sia capace di venir fuori da questo vortice che lo ha risucchiato: nonostante riesca a compiere diversi percorsi di disintossicazione,  la belva che si porta dentro, che riesce a tenere a bada per periodi di breve durata, prima o poi riaffiora, facendo peggiorare inevitabilmente ogni qualvolta la situazione.

Timothée Chalamet in una scena del film

Questa pellicola non racconta la solita storiella triste che affronta la tossicodipendenza come un sintomo sociale della vita di giovani provenienti da famiglie disastrate, situazione ormai pressochè stereotipata.Qui viene narrata un’ altra visione della tossicodipendenza, molto più cruda e disillusa, la quale non cerca di giustificare la caduta nell’oblio della droga attraverso fattori empirici, bensì si mostra come un veleno che è il risultato di una costante lotta interiore contro di sé, nonostante la famiglia agiata o l’amore che si può avere intorno. Amare se stessi, soprattutto nel periodo dell’adolescenza, risulta un’esperienza evolutiva importante, nel percorso emotivo di ognuno di noi, ed è inevitabile che a volte i più fragili, i sensibili e gli incompresi di questo mondo, finiscano per perdersi, in una danza continua di ombre e luci, che si alternano costantemente nel nostro presente, e che non lasciano spazio, a volte, alla vita vera.

Scritto da Francesca Pascale