Pubblicato il 07/12/2021

Scritto da Michelangelo Morello

<< Fragile, antica, unica per il suo rapporto con l’ambiente, Venezia si svuota di abitanti, e intanto è bersaglio di innumerevoli progetti, che per «salvarla dall’isolamento» ne uccidono la diversità e la appiattiscono sulla monocultura di una «modernità» standardizzata, riducendola a merce, a una funzione turistico-alberghiera. >>

Con queste parole Salvatore Settis inquadra uno dei problemi che da anni, ormai, affligge la città lagunare: lo sfollamento residenziale e il sovraffollamento turistico, quasi la Serenissima si stesse trasformando in un albergo ad ore. Paragone esagerato? Certamente non rende giustizia alla grazia conferitale dai ponti, dalle chiese e dai canali che la rendono un miracolo di storia, di storie e di cultura, ma la sensazione percepita da chi la vive quotidianamente è che l’aura di Venezia si stia gradualmente confondendo con quella del theme parck americano di Las Vegas.

Andrea Segre accoglie metaforicamente il pubblico della Settantottesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica con Welcome Venice, lungometraggio di finzione, in cui si racconta di Pietro e Alvise, due fratelli che rappresentano l’ambiguo rapporto che i residenti hanno con Venezia, in un momento storico in cui il turismo di massa e una pandemia globale stanno ridefinendo l’identità della città. Sono originari dell’isola della Giudecca, membri di una famiglia che ha fatto della pesca e del commercio di moeche (i granchi della laguna) la propria economia. Se Pietro rimane fortemente ancorato alla memoria, all’umile e faticoso lavoro del pescatore e alle tradizioni della sua terra scegliendo di continuare a vivere nella casa in cui è cresciuto, Alvise, d’altro canto, decide di allontanarsi dall’attività famigliare per dedicarsi al business immobiliare di Venezia, vendendo al turismo straniero esperienze di vita veneziana. Saturato il centro storico, l’ingegno imprenditoriale di Alvise vorrebbe accompagnare la tratta turistica verso l’isola “dei ladri”, i canali sconosciuti e le barene al largo della laguna mercificando, dunque, l’ultimo baluardo della residenzialità incontaminata. L’allarme è stato lanciando da tempo: “Venezia non è Disneyland”, ma la trasformazione da città, che per definizione enciclopedica è un “centro abitato”, a parco divertimenti, utile per soddisfare le richieste dei turisti mossi da stereotipi e aspettative (atteggiamento che è insito nella natura del viaggiatore), si prefigura inevitabile se anche persone come Alvise, veneziano d’origine, rinnegano la loro storia in cambio dei famosi trenta denari.

Complice l’attività di documentarista, Segre analizza la trasformazione in atto che la città di Venezia sta subendo, individuandone la causa in un attacco che proviene dall’interno a cui è particolarmente difficile resistere. La dimensione umana e provinciale, già indagata in Io sono Li, diviene il centro nevralgico attorno cui è possibile prevedere i risvolti futuri di una città che sta inesorabilmente sprofondando materialmente e spiritualmente.