Non è necessario lasciare casa propria per viaggiare. Nella stanzetta dove lavoro, incollato alla sedia dal sudore, bramo una brezza leggera dalla finestra. Gran parte della mia concentrazione è preso da calcoli empirici sulle correnti d’aria del monolocale dove alloggio, frutto di giorni tutti uguali. Intanto, ammiro gli utenti vacanzieri dallo schermo del mio cellulare e nella penombra rifletto febbrilmente su cosa significhi viaggiare.

Credo che la natura del viaggio abbia due facce: la scoperta e l’evasione.

La prima è forse più nobile e non immagino nulla di più entusiasmante. La seconda è quasi sempre necessaria per continuare questa vita che siamo costretti a vivere pienamente, per paura di arrivare alla fine del nostro tempo con un amaro senso di fregatura in bocca. 

Una scena del film

Abbiamo bisogno di un punto e a capo per tornare alla normalità e il ciclo delle stagioni, che scandisce i nostri anni, prevede una stagione dove fa troppo caldo per fare qualsiasi cosa se non starsene in panciolle lontano da casa. Ma chi ha detto che andare lontano equivalga a fuggire dai propri problemi? Seneca rispondeva così al suo amico Lucilio, che non riusciva proprio a sentirsi bene nonostante i suoi lunghi viaggi: “Lucilio, devi cambiare d’animo non di cielo”. Questa frase è per me di ispirazione. La nostra mente è come un appartamento che va tenuto ordinato e a seconda di come venga gestito può risultare più o meno spazioso. Una mente molto disordinata, per esempio, è da considerare come uno stanzino claustrofobico.

 La vacanza può fungere da specchio: fa sembrare la stanza della propria mente più spaziosa ma non fa miracoli; e ci si imbatte nel rischio di vedere il proprio sé riflesso. 

L’eroe del film di cui voglio parlare affronta entrambi gli aspetti del viaggio: l’evasione e la scoperta.

Il pasto nudo di David Cronenberg, racconta la fuga di Bill a Tangeri dopo aver ucciso sua moglie Joan in circostanze bizzarre. Come nelle migliori famiglie degli anni ’50 a portare i soldi in casa è il marito. La professione di sterminatore di scarafaggi rende bene, ma ha un piccolo effetto collaterale: la polvere che viene usata per uccidere i parassiti è un potente narcotico dagli effetti stupefacenti e sia Bill che Joan ne diventano presto dipendenti. Messo alle strette, Bill deve trovare il modo per sviare i sospetti della narcotici e disintossicare la moglie, ma un giorno i due giocano a “Guglielmo Tell”. Stesse regole, esito differente. Joan si ritrova con un buco fumante sulla testa e Bill deve fare i conti con se stesso.

Una scena del film

Questo lavoro è l’adattamento dell’omonimo romanzo autobiografico scritto da William S. Burroughs, icona della beat generation americana e noto psiconauta. Cronenberg prende le vicende del romanzo di Burroughs come fossero vischiosi filamenti e li intesse in una trama abbastanza lineare, che con il libro ha poco a che fare. Pasto nudo (libro) è il flusso di coscienza dello scrittore su fogli di carta sparpagliati, scritto durante l’anno di esilio a Tangeri sotto l’effetto di varie droghe. La lettura di quello che l’autore stesso non ricorda di aver scritto risulta sconnessa. Pasto nudo è un libro illeggibile, contrario a ogni pretesa di linearità narrativa voluta dal gusto legittimo borghese. In altre parole, un incubo per qualsiasi sceneggiatore sano di mente. Eppure, Cronenberg rielabora questo testo così suggestivo e ne trae una storia che lo spettatore medio può seguire senza arrovellarsi troppo il cervello. Come lo stesso regista ha dichiarato, si tratta della sua rielaborazione personale. Poco importa se a rimanere delusi sono sia i lettori di Burroughs che il seguito del regista canadese. 

Raccontare Pasto nudo con un genere cinematografico tipico degli anni ’50, come il film di spionaggio, dalle tinte noir è una buona idea. La paranoia è la grande componente di questi film, dove chiunque potrebbe essere un agente sotto copertura e l’eroe, solitario e stralunato, si muove fra silhouette fumose dalla voce profonda e sosia di donne amate, di cui non sa se può fidarsi o meno. Anche Bill si destreggia fra le trame intricate che la sua mente architetta per lui. I suoi occhi gelidi non fanno distinzione fra colleghi scrittori e agenti segreti frutto della sua immaginazione allucinata.  Essere omosessuali diventa una copertura mentre i suoi sensi di colpa lo traghettano nell’Interzona, un’area popolata da letterati promiscui, alieni dalle creste falliche e macchine da scrivere-scarafaggio con bocche a forma di ano. La realtà non è una componente essenziale di questo film. 

Cronenberg riesce a materializzare l’incomunicabile. Lo spettatore può vedere ciò che accade nella mente di Bill, in una sconfortante sospensione dalla realtà. Poco importa. Perchè cercare di spiegare la repulsione per la propria omosessualità quando puoi mostrarla simbolicamente, mentre viene massacrata a colpi di scarpa? L’utilizzo di pupazzi costruiti per rappresentare creature inumane fornisce la presenza fisica dell’elemento straordinario e non fa che rafforzare la sensazione di disgusto che lo spettatore può provare: gli attori sono concretamente immersi nella grottesca dimensione dell’Interzona

Il contrasto tra realtà soggettiva e realtà oggettiva è uno dei temi della poetica di Cronenberg. I suoi film, spesso, raccontano coloro che si addentrano nelle proprie perversioni fino alla fusione simbiotica con la propria malattia, al punto da diventarne un sintomo. 

Pensando all’unione fra l’oggetto della ricerca dell’ossessionato e l’incarnazione dell’ossessione stessa, può essere utile prendere a esempio La Mosca, forse il più celebre fra i film di Cronenberg. Si parla della simbiosi carnale e definitiva di uno scienziato con la propria cavia. Anche ne Il pasto nudo, sebbene in chiave psichedelica e non scientifica, si narra di un esploratore di mondi, uno scrittore costretto a campare sterminando scarafaggi, che finisce a dialogare con blatte giganti ed assuefarsi alla stessa sostanza destinata a eliminare i parassiti.

Diventa difficile fare una reale distinzione fra le diverse creature di questo zoo psicotico, specialmente parlando di parassitismo. L’uomo atomico è il tassello definitivo della catena evolutiva: il parassita per eccellenza. Colui che prolifera nel buio, che vive sottoterra e che sopravvive confondendosi nella massa, coriaceo e resistente, quasi impossibile da eliminare. 

Non resta che sterminare tutti i pensieri razionali e fuggire lontano. 

Hustlers of the world, there is one Mark you cannot beat: the Mark inside” W.S. Burroughs

Scritto da Andrea Lombardi