Ho visto per la prima volta Boogie Nights- L’altra Hollywood durante un afoso pomeriggio estivo di qualche anno fa, e ne ricordo in maniera particolarmente vivida la sensazione d’irrequietezza e lo stupore che mi è rimasto appiccicato addosso dopo la visione. Diretto da Paul Thomas Anderson, il film ripercorre l’ascesa ed il declino di un pornodivo degli anni ‘70, sullo sfondo di una Hollywood sfarzosa, ma anche ricca di lati oscuri. 

Nonostante la storia sia fittizia, le vicende prendono spunto da eventi realmente accaduti a diversi porno-attori dell’epoca, in particolare di John Holmes, che viene pure menzionato dal protagonista durante il film. 

La pellicola è caratterizzata da un’estetica del nudo prettamente edonista: i corpi nudi e semi-nudi dei protagonisti si avvolgono in un vortice di piacere. La bellezza di un personaggio, in questo film, è direttamente proporzionale alla sua lussuria: prendiamo come esempio la moglie di Little Bill, folle ninfomane la cui routine consiste nel tradire quest’ultimo costantemente davanti ai suoi occhi, arrivando perfino ad avere un rapporto sessuale con uno sconosciuto durante una festa, in presenza degli invitati e del suddetto disperato marito. Il corpo nudo che lascia più il segno durante tutta la pellicola è, ovviamente, quello del protagonista Dirk Diggler (interpretato da Mark Wahlberg). La sua performance, diciamo “artistica”, agevolata da un fisico prestante, viene considerata dal famoso regista di film a luci rosse Jack Horner non solo come un dono fortunato di madre natura, bensì come un vero e proprio talento. Il destino del protagonista, già dai suoi diciassette anni, è segnato da questo casuale incontro: Horner riconosce in Diggler la sua gallina dalle uova d’oro, che gli permetterà di creare non solo prodotti erotici fine a se stessi ma veri e propri film considerati come porno d’autore. Il finale del film – che prende sempre più un risvolto tragico e cupo distaccandosi via via dalla visione edonista iniziale – diviene il rovescio della medaglia: se le vicende iniziali raccontavano un erotismo che inneggiava alla vita ed al successo, ora gli  stessi corpi schiavizzati dal sesso, che rimane l’unica fonte di sostentamento per sopravvivere, diventano ombre di un passato glorioso che si aggirano come spettri per i bassifondi di Los Angeles. Paul Thomas Anderson nel suo secondo lungometraggio offre allo spettatore una visione disillusa del sogno americano che tanto ha scosso i cuori dei giovani durante gli anni ‘70 e ‘80, riuscendo a rappresentare in tutta la sua sincerità quell’ “altra Hollywood” caratterizzata sì da trasgressione, ma anche dall’estrema fragilità degli individui che l’hanno vissuta e le cui esistenze sono state travolte dalla macchina consumistica dello show-business. La visione di questo particolare film mi ha riportato alla memoria una frase letta qualche tempo fa, tratta dal saggio L’erotismo del filosofo francese Georges Bataille: “Dell’erotismo si può dire che è l’approvazione della vita fin dentro la morte”.

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Scritto da Francesca Pascale