Il 13 Marzo scorso si è celebrata la cerimonia degli Oscar 2023. L’Oscar al Miglior attore protagonista è andato a Brendan Fraser per ‘The Whale’. Nelle nomination troviamo anche film noti agli appassionati del grande schermo: ‘Pinocchio’ di Guillermo del Toro si è aggiudicato il premio per Miglior film di animazione, nella categoria Miglior film straniero troviamo ‘Niente di nuovo sul fronte occidentale’, nuovo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque, diretto da Edward Berger. In sala il grande protagonista di quest’anno della cerimonia degli Oscar è stato ‘Everything Everywhere All at Once’, vincitore indiscusso di ben 7 statuette: miglior film, miglior regia per Daniel Kwan e Daniel Scheinert, conosciuti con lo pseudonimo di Daniels, migliore sceneggiatura originale, migliore attrice protagonista per Michelle Yeoh, migliori attore e attrice non protagonisti per Ke Huy Quan e Jamie Lee Curtis e miglior montaggio, realizzato da Paul Rodgers. 

Non c’è da stupirsi, la vittoria sembrava inevitabile visti i risultati sia di critica che di pubblico raggiunti già alla sua uscita. Nel primo weekend di proiezione in sala ha incassato, solo negli Stati Uniti e Canada, 501.305 dollari, per poi raggiungere il 9 giugno dello stesso anno la soglia degli 80 milioni a livello globale. Un risultato mai raggiunto fino ad ora dalla casa di produzione indipendente A24, nota in particolare per le sue pellicole arthouse horror che hanno dato una scossa alla critica in questi ultimi anni, come ‘Hereditary: Le Origini del male’ o ‘The Witch’. L’azienda newyorkese è riuscita tuttavia a discostarsi da quel senso di superiorità intellettuale che per alcuni caratterizza questi nuovi film del filone horror-elitario e mostrarci un lato diverso del proprio repertorio. Battezzato dal festival texano di cinema indipendente South by Southwest (SXSW), confezionato e perfettamente recitato per i nostri schermi, Everything Everywhere All at Once è un film che sa stupire per la sua abilità nel trattare temi fantascientifici, già presenti nel panorama cinematografico odierno ed adattarli ad un pubblico desideroso di novità nel panorama sci-fi.

Everything Everywhere All at Once’ racconta il tema del multiverso in chiave opposta a quella dei film a grosso impatto commerciale, come può essere il recente ‘Doctor Strange’ di Scott Derrickson e lo fa contrapponendo brillanti riflessioni sull’esistenzialismo e veri e propri sketch comici. Il vero punto di forza del film è riuscire ad evitare spiegazioni di natura filosofica per concentrarsi maggiormente sulla quotidianità. Fin dalla prima scena, la protagonista, Evelyn Wang, è mostrata come una donna qualsiasi: gestrice di una lavanderia a gettoni, conduce una vita ordinaria e priva di stimoli. Tra il rapporto precario con il marito, la relazione difficile con la figlia e i legami complessi con il padre sembra quasi ‘forzato’ pensare che possa trattarsi di un vero e proprio film fantascientifico. Ciononostante è proprio durante una di queste scene di vita monotona – ossia l’incontro con l’impiegata dell’agenzia delle entrate – che la narrazione compie un salto attraverso la dimensione del multiverso e si sviluppa in una serie di eventi che mostrano tutte le possibili varianti del nostro universo, sfociando addirittura nel bizzarro. Tra i classici tropi narrativi che accompagnano il film, come il cattivo onnipresente che ha i mano le sorti dell’universo, e i temi più verosimili e rappresentativi della nostra stessa realtà, i Daniels riescono a combinare assieme vari elementi senza mai appesantire il film. Le scene ricorrono abbondantemente alle citazioni di altre pellicole, da ‘2001, Odissea nello spazio’ a ‘Ratatouille’, fino a raggiungere il romanticismo del classico ‘In the Mood for Love’ di Wong Kar-Wai. Quello che potrebbe apparire una sorta di guazzabuglio visuale di riferimenti a terzi, in realtà riesce, pur nella sua caoticità, a rimanere fedele alla premessa iniziale fino alla fine.

La cura meticolosa dei dettagli della scenografia quasi artigianale stupisce, considerando che la maggior parte degli effetti visivi sono stati creati da un piccolo team di sei artisti, sotto la guida di Zak Stoltz. Il tutto è accompagnato dalla perfetta performance di Michelle Yeoh, che rende impossibile staccare gli occhi dallo schermo, accompagnandoci attraverso mondi di “ordinaria” follia, dove l’irrazionalità diventa protagonista.

Sicuramente il film merita di essere visto per valutare se davvero i 7 oscar siano meritati, io penso che lo siano. Agli spettatori il giudizio finale.

Scritto da Giulio Perini