Vi è mai capitato di guardare un horror ripetendovi in maniera ossessiva che era solo un film, che era tutto finto, che non c’era nulla di reale o nulla di cui preoccuparsi, per poi ritrovarvi alle tre del mattino con gli occhi ancora spalancati e il sudore freddo? Il cinema horror comunica con l’inconscio più di altri generi e permette di vedere riflesse le paure di un’epoca, le pulsioni più recondite e morbose dell’essere umano, i desideri inconfessabili. Il genere horror sta vivendo oggi un momento di rinascita grazie alla A24, casa di produzione e distribuzione indipendente che è riuscita a colmare il vuoto segnato dai blockbuster americani con la realizzazione di opere più ragionate e fuori dai canoni imposti dai generi. Non si limita infatti a produrre film conditi con del buon citazionismo o realizzati sotto forma di strambi e malvisti remake, cosa in cui fin troppo spesso si è incappati ultimamente (Netflix, grazie per la preoccupazione, ma non avevamo bisogno di un remake di Non aprite quella porta, eravamo traumatizzati il giusto dall’originale). 

Titoli di testa di Non aprite quella porta (1974)

Verso la fine degli anni Sessanta sono diversi i registi che fanno il loro esordio nell’horror, tra i più conosciuti ricordiamo George Romero, Wes Craven, Tobe Hooper e John Carpenter. Non è scontato che una delle caratteristiche che accomuna questi pilastri del genere sia la loro origine rurale, elemento che si riflette in maniera preponderante nelle ambientazioni delle loro pellicole. 

Ma torniamo ora al presente e al paesaggio di Ti West nel suo ultimo lavoro, X, uscito nelle sale il 14 luglio. In quest’opera il regista recupera tutti gli elementi che hanno contribuito a creare l’horror rurale americano e li infarcisce con ulteriori citazioni indirette e formali a film come Shining, Psycho, Alligator, Profondo Rosso, Boogie Nights e Giochi Maliziosi. Il riferimento forse più esplicito e che maggiormente salta all’occhio è quello a Non aprite quella porta di Tobe Hooper. Quando questo film venne presentato a San Francisco nel 1974 nessuno aveva idea di cosa fosse, l’unica informazione di cui gli spettatori disponevano era il bollino R che marchiava la pellicola e che prevedeva l’obbligo per i minori di essere accompagnati dai genitori. Non appena sullo schermo comparvero le scene più macabre legate alla motosega e alla macelleria texana molti spettatori fuggirono dalla sala, altri furono assaliti da malori e quasi tutti chiesero di essere rimborsati. Già dalle prime scene, infatti, il film catapulta lo spettatore in uno stato di angoscia con lo scorrere di una didascalia che sottolinea la veridicità dei fatti.

La didascalia all’inizio del film Non aprite quella porta (1974) che avvisa lo spettatore della veridicità dei fatti raccontati

Segue una lenta inquadratura su due cadaveri in avanzato stato di putrefazione accompagnata da una voce radiofonica che descrive alcuni macabri avvenimenti legati ai cimiteri. La scena successiva ai titoli di testa viene ripresa da Ti West, che tuttavia sostituisce l’armadillo morto sul ciglio della strada con una mucca, sulle cui interiora sparse per terra passerà il furgone dei protagonisti. Il furgoncino stesso è un riferimento a Hooper e alla controcultura anni Settanta, e, in entrambi i casi, ci accompagnerà attraverso situazioni ambigue, che ci fanno fin da subito presagire il peggio. Nel caso di Hooper incontriamo un anziano ubriaco che farfuglia qualcosa a proposito di «cose che non vanno raccontate» e, poco dopo, un autostoppista che comincia a parlare di tecniche di macello. Nel caso di West, una volta che i protagonisti arrivano a destinazione in una vecchia fattoria presa in affitto per girare un film porno amatoriale, verranno accolti minacciosamente da un vecchio con un fucile che chiede loro di lasciare stare la moglie, che però vedremo spesso affacciata alla finestra intenta a spiare le riprese.

Mia Goth nel doppio ruolo di Pearl e Maxime

In questo clima già di per sé poco accogliente si inserisce il suono di una televisione in sottofondo, sul cui schermo appare quello che sembra essere un fanatico religioso. Il senso di inquietudine inizierà ad accumularsi a seguito di una scena che forse così inaspettata non è, e che colorerà di luce rossa l’ambiente, dopo che il sangue della prima vittima ricoprirà i fanali del furgone. Mia Goth, dopo due per nulla rassicuranti apparizioni in Nymphomaniac di Von Trier e La cura dal benessere di Verbinski, si ritrova qui nel doppio ruolo della sensuale Maxime e dell’anziana Pearl, invecchiata da ben 12 ore di trucco. Il film di West lascia però aperti molti interrogativi sulla storia delle due protagoniste, che ci vengono presentate come due facce della stessa medaglia pregna di follia. Speriamo quindi di avere le risposte che cerchiamo il 3 settembre, in occasione della prima di Pearl al Festival del Cinema di Venezia. Si vocifera infatti che West sia alle prese con la realizzazione di una trilogia, di cui Pearl rappresenterà però un prequel di X. La protagonista rimarrà Mia Goth, autrice questa volta anche della sceneggiatura del film, scritta a quattro mani con West.

Scritto da Ludovica Lancini