“La fantasia è un posto dove ci piove dentro”, afferma Italo Calvino nelle sue Lezioni Americane. Questa sua constatazione parte dal cercare di spiegare come nel Purgatorio di Dante Alighieri – nello specifico si sta trattando del girone degli iracondi – il poeta contempli immagini che si formano direttamente nella sua mente. Mi servo di questa singolare affermazione poiché mi sembra calzare a pennello con il film di cui tratterà quest’articolo: L’arte del sogno – The science of sleep.  

La pellicola francese è del duemilasei, diretta da Michel Gondry ed interpretata da Gael Garcìa Bernal e Charlotte Gainsbourg. Il fulcro della narrazione si basa sul dispiegarsi di immagini fantastiche che caratterizzano la vita del protagonista maschile, Stéphane Miroux (Bernal), di professione grafico ma in realtà creativo inventore come il padre, il quale fin dall’infanzia ha sempre avuto problemi a distinguere i sogni dalla realtà. Molto spesso sonnambulo, Stéphane si trova a vivere in un mondo in cui gli è difficile comprendere se quello che gli accade intorno siano immagini che piovono dalla sua fantasia, oppure eventi reali: la situazione gli sfugge di mano nel momento in cui conosce la sua vicina di casa Stéphanie (Gainsbourg) di cui si innamora perdutamente. Sullo schermo Gondry mostra ancora una volta un amore surreale intriso di un romanticismo – come accadde per Eternal Sunshine of Spotless mind (ahimè tradotto in un pessimo Se mi lasci ti cancello) – che si palesa tramite reminiscenze ed immagini oniriche. Le incomprensioni fra i due personaggi si fondono nei sogni del protagonista, vi è una linea sottile fra realtà ed immaginazione: cos’è accaduto veramente? Stéphanie non si è veramente presentata all’appuntamento, oppure sì? Respinge l’amore di Stéphane, oppure è tutto frutto di incomprensioni da parte di lui che non riesce ad avere, per l’intero film, una chiave di lettura limpida della realtà?  

Le strade dell’addormentata Parigi di Gondry si fondono con le invenzioni ed i giocattoli costruiti dai protagonisti, mostrando una città intrisa di una fanciullesca malinconia. Ma è l’amore che muove le pedine in tutto questo via vai di sogni: quando siamo innamorati la nostra fantasia molto spesso prende il sopravvento e la nostra mente tende a viaggiare più velocemente e freneticamente, ricorrenti sono i sogni che si fanno della persona amata, soprattutto nel momento in cui ci sfugge. L’amore nei confronti di Stéphanie, che rende sempre più folle il protagonista, ha anche dei connotati positivi: diventa quel motore che alimenta la sua creatività. Anche Stéphanie viene travolta da questa singolare energia; soltanto che a differenza del protagonista, che si ritrova costantemente in uno stato di sonno-veglia, quest’ultima viene colta da frequenti notti insonni dove la principale occupazione diventa quella di suonare al piano la melodia composta da Stéphane, dopo averla sentita in un sogno, e a lei dedicata. La notte diviene il momento più adatto per compensare la mancanza dell’amato: chi cullato dalle braccia di Morfeo e chi costantemente sveglio, perché si sa che “cuore che sospira, non ha quel cui aspira”.

Scritto da Francesca Pascale