Per quest’occasione, non essendo una grande intenditrice del tema acidi e basi nel senso chimico del termine, scientifico-accademico o allucinogeno che sia, mi lancio verso un’interpretazione – quale modo più azzeccato per dirlo – molto più basica.  Eccomi ripescare dal cappello del Trieste Film Festival, esperienza da cui sono reduce, i lavori di due registe che possono facilmente indossare le vesti di film acido e film basico.  Premessa: il contesto in cui ci troviamo è quello delle proiezioni prodotte nell’Europa orientale, costellata di esempi di regia arguta, sagace, spesso lenta. La coppia di titoli che vado a raccontare non è di certo quella di film da guardare in un pomeriggio di malattia o durante la classica domenica piovosa accompagnata da cioccolata calda e – insomma, avete capito. In poche parole, non si spegne il cervello.

Film acido: In Bloom, dell’egiziana Nana Ekvitmishvili, ambientato in Georgia. Un racconto di due quattordicenni che si destreggiano e crescono in una società patriarcale ambigua, dove le stesse donne sono spesso complici della propria sottomissione. È acida Natia, una delle due protagoniste, che con tono spavaldo, fiero e testardo si ritrova coinvolta in una vicenda che le cambia radicalmente la vita. È acido tutto l’orrore che è costretta a subire così come è aspro il fatto che Eka, la sua amica e compagna di vita, debba sopportarne la visione, pur tenendo sempre un occhio protettivo su di lei.

Ma è altrettanto acida la reazione assecondante di Natia e dei suoi genitori di fronte agli eventi tragici che la riguardano, o il fatto che i personaggi femminili che ricoprono una carica autorevole – l’insegnante delle amiche, per dirne una – non assumano atteggiamenti degni del loro compito, non mostrino alcuna solidarietà, contaminate dalla parvenza di poter avere lo stesso potere che è dato agli uomini. Il film è molto riuscito, si chiude con un finale coerente, aspro come le vicende raccontate e che l’hanno portato nelle sale. Di più non vorrei dire, non sia mai che in un momento di vita dolce qualcuno abbia voglia di regalarsi un po’ di acidità..

Film basico: e per basico intendo basilare, di sentimenti essenziali. Un film sull’affetto fondamentale e doloroso è Moon, 66 Questions, della greca Jacqueline Lentzou. La storia è quella di Artemis, ragazza – si presume minorenne – che deve tornare ad Atene per prendersi cura di Paris, il padre: pare che uno shock abbia segnato l’inizio della lenta degenerazione fisica causata dalla sclerosi multipla. Destreggiandosi tra i suoi complicati sentimenti verso un papà da cui si sente molto lontana e il suo semplice desiderio di essere una ragazza giovane che vive la vita da giovane, Artemis attraversa quello che potrebbe sembrare un dramma familiare piuttosto comune ma che, in realtà, diventa qualcosa di molto più sofisticato e profondamente commovente.

È un film sul raggiungimento dell’età adulta, anche se qui non c’è la sensazione di un movimento da un punto A a un punto B completamente risolto. Piuttosto, viene fornito il ritratto di una giovane donna che conosce sé stessa attraverso il riavvicinamento con il padre e la scoperta del segreto da lui più ferocemente protetto. Un racconto che trascina dolcemente in un oceano di accattivanti vuoti, ellissi e silenzi e che garantisce un’esperienza enormemente ricca di emozioni per coloro che sono disposti a seguirne il flusso. La storia di un ritorno e di una lunga esplorazione, insomma, dove sotto strati di diffidenza, sfiducia e disagio, silenzio da grattar via, ciò che è basilare riaffiora sempre.

Scritto da Silvia Lo Castro