Dopo tutti i post, le condivisioni ed il vero e proprio pressing portato avanti da Mubi lo scorso mese, quasi mi sono trovata a pregare che questo film riuscisse a piacermi. L’ho atteso trepidante, cercando di oscurare qualsiasi informazione che arrivasse dalle diverse piattaforme. Ho sperato che non fosse l’ennesima storia della povera ragazza che decide di darsi al porno come soluzione ultima nella speranza di trovare un mondo quasi magico, che puntualmente non si rivela mai  tale. 

Pleasure (2021) è il debutto della regista Ninja Thyberg. È riuscito a giungere in Italia soltanto lo scorso giugno, mano nella mano con la propria giovane autrice, che l’ha presentato a Bologna durante il Biografilm Festival insieme al collettivo Inside Porn. 

Sofia Kappel e Revika Anne Reustle in una scena del film

Pleasure rovescia il mondo patriarcale del porno dominato da manager e agenti che rispondono principalmente ai desideri e al comando degli uomini. Nel film questa realtà viene raccontata attraverso gli occhi della giovanissima Linnéa, diciannovenne svedese che sbarca in America non tanto per fare soldi e  rincorrere il fatidico sogno americano, come tanti film e opere sulle sex worker fanno pensare, ma solo ed esclusivamente per il proprio piacere. I gemiti e tutti i suoni di quello che sembra essere un rapporto a più persone che si sentono come sottofondo ai sobri titoli di testa si mescolano perfettamente ad una musica di richiamo quasi biblico, che immerge fin da subito lo spettatore nel clima dissoluto che lo accompagnerà per almeno tutta la prima parte del film (vi ricordate di Fleabag e della colonna sonora che scatta durante le fantasie della protagonista sul giovane prete senza nome? Ecco. Se non sapete di cosa sto parlando dovreste farvi un grande favore e recuperare una delle serie più belle degli ultimi anni.). Questi rumori sono seguiti dai primissimi scambi di battute tra la giovane, appena sbarcata a Los Angeles, e il responsabile delle immigrazioni che le pone la classica domanda “Here for business or pleasure?” a cui lei, con sorriso ammiccante e sguardo penetrante, risponde “Pleasure”, dando il via al film. Linnéa sceglie infatti di dedicarsi al porno perché, come sottolinea più volte, le piace, la diverte ed è quello che vuole fare. Inizialmente la sua risolutezza sembra quasi il vaneggiare di una giovane ragazza allo sbaraglio, ma man mano che la pellicola scorre ci si rende sempre più conto di quanto lei sia disposta a qualsiasi cosa (e dico DAVVERO qualsiasi cosa) pur di diventare “the next big pornstar”, quello che lei dichiara essere il proprio obiettivo fin dalle sue prime parole. Arriva a non porsi più alcun tipo di limite, ad umiliarsi, a fondersi con un mondo che viene gestito in maniera malsana, a diventare lei stessa malata di successo, ad accettare ogni forma di violenza pur di emergere come attrice. 

La protagonista Sofia Kappel in una scena del film

Si passa in maniera repentina dalla classica scena di riscatto sulla spiaggia con il cielo che si schiarisce per l’arrivo dell’alba, ad immagini stroboscopiche intrise di corpi nudi ed erotismo, arrivando anche a soggettive appannate durante atti di estremo piacere o estrema violenza. La regista è attenta a sottolineare ogni espressione della sua protagonista, tramite riprese spesso molto ravvicinate oppure tipiche del cinema porno (generalmente con l’uomo che tiene in mano la telecamera per filmare il rapporto dalla propria prospettiva). La musica accompagna tutto il film, esprimendo in maniera evidente le sensazioni e le emozioni provate da Linnéa, in arte Bella Cherry, in ogni momento della sua ascesa (e discesa). 

Evelyn Claire e Sofia Kappel in una scena del film

Il film è tratto da un corto realizzato precedentemente di Ninja Thyberg e nasce dalla profonda frustrazione provata dalla regista dopo aver visto il primo porno a sedici anni. L’attrice protagonista, Sofia Kappel, racconta di aver scelto personalmente gli attori che l’avrebbero dovuta circondare e toccare per tutto il film, arrivando quasi a dirigere lei stessa il proprio battesimo di fuoco, la sua discesa nell’inferno del mondo del porno. Il lavoro delle porno attrici è un mestiere a tutti gli effetti e nel film non viene svalutato o giudicato in alcun modo, ma sviscerato, fatto a pezzi, analizzato da ogni prospettiva, criticato non tanto per quello che le sue protagoniste fanno sul set, ma per le logiche che lo sovrastano. Le attrici vengono costantemente valorizzate da Ninja Thyberg tramite ralenti, sguardi rivolti direttamente alla camera e musica hip hop o rap. Questo è un mondo che, come ogni altra realtà economica, viene guidato dal capitalismo e dalla sete di denaro, cosa che Sofia Kappel sottolinea in diverse interviste: “Il film non parla solo dell’industria del porno. Parla anche di cameratismo e di capitalismo, di ciò che accade quando il profitto fa da padrone: ciò che accade nella società normale accadrà anche nell’industria del porno, accadrà in ogni settore”.

Scritto da Ludovica Lancini