Scritto da Michelangelo Morello

Pubblicato il 18/05/2020

Avvertenza: in quanto leggerete potreste incontrare riferimenti a vari punti della trama del film, se temete che questo pregiudichi la vostra visione, vi consigliamo di rileggerci una volta visto il film.

Favolacce: Non sempre le storie terminano con “e vissero per sempre felici e contenti”

I Fratelli D’Innocenzo firmano soggetto e sceneggiatura di quello che si candida fin da ora ad essere uno dei film italiani più importanti dell’anno. Presentato al Festival del cinema di Berlino 2020, Fabio e Damiano vincendo il premio alla miglior sceneggiatura,confermano le aspettative per la loro tanto attesa opera seconda.

Fabio e Damiano D’Innocenzo, registi e sceneggiatori di “Favolacce

In un mondo ormai assuefatto dalla plasticità e dall’ipocrisia disneyana, i Fratelli D’Innocenzo propongono una favola della “buonanotte” che vi garantirà un sonno per niente tranquillo. Per una volta, caro pubblico, cari lettori, accettate di andare a dormire con il rischio di fare un incubo e ascoltate questa favolaccia, ne vale la pena. È la voce di Max Tortora – che legge una favolaccia interrotta scritta in un diario che ha trovato casualmente – a immergerci in questa periferia che ricorda, più che la borgata cara alla tradizione romana, un mondo burtoniano: fuori dal tempo e dallo spazio stesso in cui succedono cose che sarebbe meglio ignorare.

Se in La terra dell’abbastanza seguiamo le decisioni ingenue e sfortunate di due ragazzi della periferia romana, in questo film i Fratelli indagano il nucleo familiare nel suo complesso: la mamma, il papà e soprattutto i figli. Questi, dei ragazzini preadolescenti dimenticati, non amati, non voluti; sono vittime dell’infelicità dei loro genitori, del loro egoismo, della loro indifferenza, della loro insoddisfazione verso una vita che odiano. Così Fabio e Damiano, restituendo i tragici e macabri finali delle originali favolacce dei fratelli Grimm senza alcuna censura, senza alcuna pietà ci raccontano una storia in cui i cattivi sono le persone che più dovrebbero rappresentare una guida e un modello da seguire, un porto sicuro: i nostri
genitori. Soprattutto, a decidere il buono e il cattivo tempo, sono i padri, figure meschine, animalesche, bestiali, che sembrano emettere versi più che discorsi sensati parlando un dialetto romano con tono rauco e farfugliato.

Elio Germano, nel film padre di uno dei bambini, interpreta una delle figure protagonista

I Fratelli ci spogliano di ogni possibile sicurezza, ci lasciano sconvolti e inermi davanti alla violenza degli adulti e all’innocenza di questi ragazzini che tentano di scappare dal mondo che li circonda, giocando tra loro affidandosi all’unica guida alternativa, il loro maestro di scuola. Egli si presenta come una figura salvifica, un Peter Pan adulto, che empatizza con i ragazzini, li comprende ed offre loro i mezzi indispensabili per una sicura via di fuga da questa vita infame che sono costretti a vivere: i progetti per
fabbricare una bomba, prima; tutte le informazioni, compreso il prezzo e i punti vendita del più comune e velenoso pesticida in commercio, poi. La cosa più raccapricciante è il fatto che si intuisce che i ragazzini sono consapevoli di ciò che fanno, accettano la guida del loro maestro, approvano la via d’uscita che gli viene offerta perché sembra la più efficace e – qui sta la bravura dei Fratelli D’Innocenzo e il motivo per cui il film funziona davvero – lo spettatore non può far altro che assecondare la loro decisione e accompagnarli verso l’atto più estremo.

In questo film si indagano le vite dei figli, che fanno squadra, cercano di uscirne assieme, di trovare una soluzione, in contrapposizione alle vite dei genitori che si sono rassegnati a una vita insoddisfacente ma che non hanno mai accettato, piuttosto subito. Eppure rimangono fermi, invece di rimboccarsi le maniche e cercare un lavoro migliore, cercare la felicità nelle piccole cose come una giornata al mare, preferendo l’autocommiserazione, isolandosi gli uni dagli altri, ignorando le insoddisfazioni, sfogando le loro frustrazioni sugli indifesi, i figli, che più che gioia sono solo un altro problema, un ulteriore ostacolo alla vita “perfetta” che sognavano. Tutte queste contraddizioni sono rappresentate dalla figura di una neo-mamma che sogna, col padre della bambina, una vita fuori dal quartiere fatta di estati a “spaccarsi” a Ibiza giorno e notte. Si rende conto che sono solo sogni, pure illusioni e non accetta una vita
simile a quella che hanno condotto i suoi genitori e le famiglie che vivono nel quartiere. Capendo di trovarsi in trappola, non trovando una soluzione alternativa, anche lei sceglie di intraprendere la via di fuga definitiva.

Come è bello sapere che questo film è opera di due giovanissimi talenti italiani… Dopo il film d’esordio, acclamato da critica e pubblico, Fabio e Damiano si confermano una delle voci più forti del cinema nostrano, seguendo la via dei grandi maestri, quali Ettore Scola o Vittorio De Sica, che li hanno preceduti così capaci nel descrivere le relazioni che si instaurano nelle famiglie italiane. Le famiglie che vengono qui raccontate nella pellicola sono frutto dell’insoddisfazione e della rabbia repressa che impera nella società contemporanea, tutti vogliosi di una vita in vacanza, dedita al consumismo che ci viene pedissequamente, costantemente, inequivocabilmente mostrato e giustificato in ogni momento della giornata grazie ai social network. Siamo schiavi dei sogni, da sempre. Vogliamo una vita diversa, una vita migliore, non siamo mai soddisfatti di noi stessi, vogliamo l’estate quando è inverno e l’inverno quando è estate, per citare La leggenda del pianista sull’oceano. In questo momento storico, però, i social ci danno la possibilità di vedere i nostri sogni realizzati da altri e di invidiare ancor di più e con più ferocia al punto di non sopportare più la nostra insoddisfazione volendo tutto e subito. Il film non si sofferma su questo aspetto, ma una riflessione anche da questo punto di vista può sorgere in chi lo guarda.

Per concludere, ai Fratelli D’Innocenzo non resta che dire grazie per la spietatezza con cui hanno voluto raccontare una storia che tratta le vicende di un quartiere normale, durante un’estate normale, in cui sono coinvolte famiglie normali. Non c’è epicità nella morte, non c’è epicità nella vita. È questo il messaggio più atroce e destabilizzante che i Fratelli D’Innocenzo suggeriscono, forse, al pubblico che ascolta questa favolaccia; pubblico adesso non più così tranquillo e in sicurezza sotto le calde coperte, ma consapevole che il giorno seguente non sarà, senz’altro, un buon giorno.