Di onirico ne vorrei parlare, oggi, in un modo che trovo affascinante, importante e curiosamente reale. Proverei a raccontare l’onirico di Claire Denis, regista francese nota – tra tante altre cose – per le strutture narrative non convenzionali del suo cinema, che privilegia elementi visivi o sonori a quelli dialogici, proponendoci un cinema che quasi appartiene al sogno tanto sembra tattile ed è avanguardista.

Oggi si discute di Vendredi soir nel 2002. Il racconto è ambientato a Parigi, nell’autunno del 1995. La storia è quella di Laure (interpretata dall’attrice francese Valérie Lemercier), una giovane donna che a seguito di lunghe riflessioni decide di trasferirsi nell’appartamento del fidanzato François, che non ha ancora imparato a chiamare “casa”. Durante il tragitto per spostare le proprie cose dall’ex appartamento al nuovo Laure rimane imbottigliata nel traffico, in uno sciopero. Sulla sua macchina sale un autostoppista, Jean (Vincent Lindon); tra i due nasce un’immediata attrazione reciproca che li porta a trascorrere la notte insieme. 

Il film di Denis è quasi tutto girato in auto, veicolo necessario per muoversi in una “sfera maschile”, la città che Laure osservava dalla sicurezza del suo appartamento. Queste sequenze evidenziano  la relazione affettiva della protagonista con lo spazio cittadino che, in questo caso, è espressa dal suo disagio (socialmente indotto) di donna che viaggia da sola nello spazio urbano di notte. 

Quando Jean entra in auto – nell’intimità di Laure – la sua presenza ne modifica lo spazio a livello micro corporeo. Questo cambiamento avviene attraverso il contatto tra i personaggi, che il film sceglie di trasmettere in modo tattile allo spettatore: in un’inquadratura dal punto di vista di Laure, si vede Jean allargare le gambe, mettendosi a proprio agio; segue un primo piano che mostra i piedi di lei che si sfregano l’uno contro l’altro, le ginocchia che si allargano e le mani che accarezzano leggermente il volante. L’attenzione del film per le texture accentua l’intimità dell’auto, dove i personaggi sviluppano il desiderio reciproco e abitano lo spazio affettivamente, sospendendo – e qui scatta l’operazione rivoluzionaria di Denis – le loro identità di genere attraverso l’erotismo. 

Il legame della donna con l’erotico, infatti, le conferisce la capacità di ridefinire la propria storia abitando gli spazi sociali attraverso le sensazioni e all’interno di un corpo “vissuto”, invece che attraverso le norme di genere che li governano. Quello di Laure diventa quindi un corpo di affetti e desiderio piuttosto che un corpo di genere. 

È in questo senso che Denis attua un’operazione forse avanguardista: l’estrema attenzione conferita ai sensi scardina i protagonisti dal loro presente; li aiuta ad abbandonarsi e ad abbandonare il reale – anche se per poco – penetrando insieme ciò che sembra sogno. Nell’immobilità di un nuovo presente onirico, Denis fa poi un ulteriore step: se non è mai possibile trascendere completamente le relazioni di potere di genere nell’attuale configurazione della società, l’estetica aptica del film crea interruzioni temporali e intermittenti delle geometrie di potere. Non c’è più relazione tra soggetto-oggetto; anche se il possessore dello sguardo sembrerebbe essere Laure (e in questo senso già si ribalta il concetto di male gaze teorizzato da Mulvey), in realtà nessuno “possiede” l’altro con lo sguardo: i personaggi si guardano mentre toccano e vengono toccati. 

Denis pone molta enfasi su questo aspetto: per trasformare le strutture di potere degli spazi sociali bisogna abitare lo spazio affettivamente, cioè riconoscere la reversibilità dell’esperienza che diventa quindi condivisa; l’estetica aptica apre un mondo di relazioni e potenzialità che mette in discussione i binari e le strutture di potere che dominano tuttora il reale. In questo senso, perciò, Denis ricrea una dimensione onirica, anche se paradossalmente vicina al vero.

Nel sogno – e Denis ci suggerisce anche nel reale – lo spazio non è fissato all’interno di norme socioculturali: è invece “vissuto” e in continua trasformazione, come risultato di connessioni affettive.

È quindi la combinazione di elementi rappresentativi di aspetti magici e aptici a dare forma all’estetica affermativa e onirica del film. Gli effetti negativi dell’abitare la città da parte di Laure si trasformano in una riscrittura dell’abitare lo spazio attraverso i sensi corporei, lasciandoci assaporare l’idea di un sogno da cui, forse, non vorremmo svegliarci. 

Scritto da Silvia Lo Castro