Ogni settembre un’atmosfera magica avvolge lido di Venezia.

L’isola, tappa obbligatoria per i veneziani doc in vacanza, diventa il paradiso (e l’inferno) dei cinefili di tutto il mondo, che accorrono per poter vedere in anteprima i film più attesi dell’anno e si mettono in fila per poter fotografare le star che illuminano la città con la propria presenza.

Il legame con la Mostra del Cinema di Venezia è sempre stato un odio et amo, soprattutto a causa dei sistemi di prenotazione infernali e delle sale con dentro le stalattiti di ghiaccio, ma per quanto tutti continuino a riempire il muro di #ridateciisoldi con lamentele, il fascino inspiegabile del festival spinge gli accreditati a tornare anche l’anno successivo.

Quest’anno, dopo tre edizioni con l’accredito verde al collo, ho avuto l’opportunità di vedere per la prima volta i film sotto una nuova veste, quella da giurata per il Premio Inclusione e Sostenibilità Edipo Re, assegnato alla fine delle Mostra in uno spazio che probabilmente pochi conosceranno: Isola Edipo, una sorta di angolo ristoro perfetto per riposarsi di fronte alla laguna e discutere dei film appena visti.

Ovviamente essere giurata non mi ha risparmiato la guerra con VivaTicket per prenotare il posto in sala, ma sono fortunatamente riuscita a vedere una buona dose di film sui quali ho riflettuto molto in questi ultimi giorni, e di cui non vedo l’ora di parlare.

Ecco quindi a voi in anteprima sette film sbarcati a Venezia questo settembre, recensiti senza spoiler da yours truly.

CITY OF WIND – Sèr sèr salhi

Orizzonti si dimostra anche quest’anno come la categoria con i migliori film della Mostra del Cinema.

City of Wind segue la storia di un ragazzo di diciassette anni, Ze, diventato sciamano perché, come dice lui, “fin da quando ero piccolo tutto ciò che dicevo poi succedeva veramente.”

Attraverso i suoi riti fa emergere lo spirito dell’antenato, che promette protezione e aiuta i suoi figli in difficoltà, parlando ai bisognosi attraverso il corpo del protagonista. Siamo però in una Mongolia contemporanea, in cui le due realtà che abitano Ze si scontrano, mostrando come una religione che ci proietta nel passato possa continuare a sopravvivere nel mondo di oggi.

Si tratta di un bellissimo coming of age che esplora l’adolescenza mongola, trasportandoci tra i banchi di scuola e all’interno dei locali frequentati dal nostro sciamano. Non è una storia particolarmente originale, abbiamo il classico good boy gone bad con una ribellione adolescenziale, ma nonostante ciò è sempre interessante vedere come questa ricetta vista e rivista possa essere modificata con ingredienti esteri a noi sconosciuti.

Avrei però preferito un uso un po’ più artistico della fotografia, visto che le scene girate sulle meravigliose montagne della Mongolia non le rendono abbastanza giustizia.

EVIL DOES NOT EXIST – Aku wa sonzai shinai

Non c’è nulla di questo film che non mi sia piaciuto.

Hamaguchi porta sullo schermo le vite semplici di Takumi e Hana, abitanti di un modesto villaggio immerso nella natura situato vicino a Tokyo. La realtà tranquilla e silenziosa a cui sono abituati viene però minacciata quando ci sarà il rischio della costruzione di un glamping (glamour+camping), una struttura che porterebbe un grosso impatto negativo sulla rete idrica locale e che finirebbe per inquinare le sorgenti di acqua potabile.

Emerge in maniera evidente il dolce legame che connette l’uomo alla natura,  portato sullo schermo con tenerezza e intimità, attraverso lunghe scene silenziose che non necessitano di spiegazioni, e una colonna sonora che fa venire i brividi. Può sembrare un po’ lento a momenti ma credo che ciò sia funzionale nel rappresentare il ritmo di vita degli abitanti di Mizubiki, in armonia con la natura che lo circonda.

In assoluto il mio film preferito visto quest’anno alla mostra (dopo Io Capitano, per il quale scriverò sicuramente qualcosa a parte), ha un finale inaspettato con una forte carica simbolica, ma è impossibile parlarne senza dare spoiler. Vi invito quindi a vederlo al cinema, per poi dirmi la vostra interpretazione.

AGGRO DR1FT

Mi sono servite dodici ore per capire se questo film merita una stella o dieci, quindi nel dubbio mi siedo sulla via di mezzo. 

La storia in sé non si merita nulla, sembra di seguire la side quest di sicario in un videogioco, ma non credo che questo film sia stato fatto per raccontare qualcosa. Sembra più che altro un esperimento, oppure un contorto modo di fare cinema senza fare cinema.

Aggro Dr1ft è praticamente un videogioco, una sorta di GTA meets God Of War ma giocati sotto l’effetto di qualche allucinogeno, dato che viene girato esclusivamente ad infrarossi con lenti termiche.

Per tutta la sua durata è in continuo crescendo, fino ad arrivare ad un culmine che delude, perché ci si aspetta qualcosa di molto più glorioso, ma nonostante questo bisogna riconoscere che la colonna sonora è fantastica e ci sono dei momenti con degli effetti da paura, che se fossero stati mantenuti per tutto il tempo avrebbero trasformato questo film in un capolavoro.

LIFE IS NOT A COMPETITION BUT I’M WINNING

Life is Not a Competition è stato di sicuro il film che mi ha delusa più di tutti alla Mostra del Cinema. 

Vuole proporsi come un documentario che risale alle radici delle discriminazioni nello sport, per onorare chiunque sia stato escluso dal podio a causa del proprio corpo o della propria identità, ma fallisce completamente nel suo intento. 

Credo che sia importante portare al cinema film che danno visibilità a persone che faticano a sentirsi rappresentate, soprattutto per quanto riguarda POC o parte della comunità LGBTQ+, ma questo film è fatto proprio male.

Il tutto sembra estremamente disordinato, viene a mancare un filo logico nello storytelling e vengono aggiunte delle scene dove i protagonisti “viaggiano nel passato” per assistere alle prime Olimpiadi che sembrano essere state editate con picsart.

Le persone di cui si vuole parlare sono persone estremamente interessanti, che hanno tanto da dire e tanto da mostrare, ma il tempo che poteva essere usato per approfondire meglio le loro storie è stato occupato da slow motion di gente che corre sudata. 

L’unica nota positiva è la filmografia dato che, scene nel passato a parte, questo film potrebbe essere considerato più video-arte che documentario.

OCEANS ARE THE REAL CONTINENTS – Los océanos son los verdaderos continentes

La storia, o meglio, le storie, non sono particolarmente complesse: due amici, due innamorati, una donna anziana rimasta vedova dal marito morto in Angola; questi tre fili narrativi si intrecciano e vengono accomunati dall’abbandono di Cuba, che per un motivo o per l’altro viene lasciata nel passato.

Gli attori recitano in modo naturale, talmente tanto che il regista sembra quasi aver ripreso di nascosto delle persone nella loro vita di tutti i giorni, ma è possibile riconoscere grazie ad alcuni dettagli un certo amore e una certa tenerezza nei confronti di Cuba.

L’unica cosa che non ho apprezzato è l’utilizzo del bianco e nero per tutta la durata del film. Credo che spinga lo spettatore a visualizzare una Cuba vecchia, passata e datata, portando una rappresentazione del paese che è stata vista e rivista in tantissimi film.

Scelte stilistiche a parte, si tratta di un film molto carino che non mi ha stufato nelle sue due ore, nonostante abbia scene molto lente completamente prive di dialogo.

COUP DE CHANCE 

La presenza di Woody Allen alla mostra ha fatto scalpore, ma devo dire che questo film ha provocato esattamente l’effetto opposto, dato che non è per niente memorabile.

È un film carino e leggero, una commedia da vedere quando ci si annoia o quando si vuole un sottofondo in televisione mentre si pulisce casa. Lo stampo di Woody Allen è evidente, a partire dalla storia che vuole raccontare: un tradimento.

Fanny e Jean sono una coppia invidiata da tutti, perfetti all’apparenza sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista relazionale. Sembrano innamorati come il primo giorno e vivono in un appartamento lussuoso, ma tutto viene rovinato quando subentra Alain, l’ex compagno di liceo di Fanny, da sempre apertamente innamorato di lei.

I personaggi sono (volutamente) uno più fastidioso dell’altro e ho passato tutto il film a sperare in un finale sorprendente che rendesse la storia meno banale e noiosa. Almeno in quello sono stata accontentata.

PHOTOPHOBIA 

Ultimo, ma non per importanza, un film che a molti non è piaciuto ma che mi ha lasciata piacevolmente sorpresa.

Ho trovato questo documentario perfetto, semplice e d’impatto, che sfrutta i suoi 90 minuti per lasciare spazio alle persone, le vere protagoniste della guerra, e che spesso vengono poste sullo sfondo del conflitto.

Siamo in Ucraina e seguiamo la guerra dagli occhi di un bambino, Nikita, che vive nella metro nascosto dalla luce del sole, insieme ai suoi genitori e alla sorellina più piccola. Vengono portate sullo schermo persone normali, vive, vere, che soffrono o che reagiscono alla situazione in cui si trovano; c’è chi piange, chi suona, chi canta e chi gioca con il telefono. Tutti reagiscono a modo loro e questo documentario porta sullo schermo delle immagini che nei telegiornali nessuno vede.

Non capisco per quale motivo le persone sentano questa necessità di vedere film nei quali accadono mille cose per “non addormentarsi”. Non sono necessari complicati intrecci narrativi per rendere un film bello e piacevole, basta avere di fronte alla cinepresa persone vere e pure che ti portano con loro nella vita di tutti i giorni.


Scritto da Isabel Musoni