Scritto da Ludovica Lancini

Pubblicato il 19/06/2020

Definire la cinematografia di Xavier Dolan come queer, come viene fatto spesso, è in realtà limitante e riduttivo, nonostante sia un regista (e un attivista) molto attento agli aspetti riguardanti il mondo LGBT. Presenti quasi in ogni sua opera, pur non essendo il centro effettivo delle storie, ma parte importante e fondamentale nella caratterizzazione dei personaggi. La sessualità infatti è uno dei tanti elementi che ci rappresentano, sicuramente fondamentale, ma non unico. Ciò che gli interessa maggiormente mettere in scena sembra essere il comprendersi, l’accettarsi, il poter comunicare in contesti familiari non semplicissimi e, molto spesso, il fallimento finale, tutto attraverso un realismo disarmante.

Xavier Dolan

Ma chi è nello specifico Xavier Dolan? Nella sua breve presentazione di Instagram si definisce “actor, director, Slytherin”, letteralmente “attore, regista, Serpeverde”, mettendo subito in evidenza la sua passione per Harry Potter di cui, tra le altre cose, presenta diversi tatuaggi su tutto il corpo. Ha infatti prestato la voce al celebre Ronald Weasley, nella versione francese dei film. Fin dai suoi primi lavori viene chiamato da molti l’enfant prodige, soprattutto dopo aver diretto, sceneggiato e recitato come protagonista nel suo primo film J’ai tué ma mère (2009) a soli vent’anni (aveva debuttato come attore nel 2008 nell’horror francese Martyrs). Inoltre ricopre spesso il ruolo di produttore e montatore e si è occupato in alcuni casi anche dei costumi, riuscendo a personalizzare sempre al massimo i propri lavori. L’opera che lo consacra è sicuramente il lungometraggio Mommy, con cui vincerà il Premio della giuria a Cannes 2014 e che lo vedrà commuoversi di fronte ad una lunga standing ovation da parte del pubblico. Si tratta di uno psicodramma di forte impatto emotivo, centrato come il primo (J’ai tué ma mère) sul rapporto di amore-odio tra una madre quasi aggressiva e un figlio ribelle, portato in questo caso all’estremo. Racconta infatti del ricongiungimento tra i due, avvenuto dopo che il ragazzo viene cacciato dal collegio in cui si trovava per aver appiccato un incendio che ha ustionato un compagno, e che è affetto da quello che viene definito “deficit di attenzione e iperattività di tipo oppositivo e provocatorio”. Con un formato quadrato, che si allarga a 16:9 solo nei momenti di libertà, una colonna sonora su misura per ogni scena (che passa da Ludovico Einaudi a Lana Del Rey), una fotografia nitida e colorata (André Turpin), Dolan trasmette una sensazione costante di claustrofobia, come se stessimo osservando degli insetti muoversi violentemente all’interno di un piccolissimo spazio chiuso. Notevoli anche i primi piani e le più dettagliate riprese di particolari dei volti, che mostrano in maniera evidente le emozioni vissute dai protagonisti. È interessante anche come la figura della madre venga spesso interpretata dalla stessa attrice, Anne Dorval, raggiungendo il culmine della sua forza espressiva proprio in Mommy. Un rapporto particolare, quello con le madri, che si manifesta da subito, partendo dal matricidio simbolico del primo film e arrivando poi all’affetto morboso di Mommy, che caratterizza un rapporto difficile e spesso ingestibile, intervallato da forti picchi di violenza. In Tom à la ferme, thriller psicologico tratto da uno spettacolo teatrale, alla madre (in questo caso Lise Roy), distrutta dal lutto per la perdita del figlio, vengono nascoste diverse verità, quasi per “proteggerla” e proteggere di conseguenza i suoi ricordi. Anche la madre (Nathalie Baye) di È solo la fine del mondo, di cui non si conosce nemmeno il nome e da cui il figlio si è allontanato diversi anni prima, viene tenuta all’oscuro dallo stesso protagonista di una dolorosissima verità.

Frame di Mommy

Parlando di opere memorabili per colonna sonora e fotografia va citato Laurence Anyways, del 2012, che racconta una storia d’amore classica (scandita dall’unione, la successiva divisione e il ricongiungimento finale), ma investita da un evento “inedito” (se avete visto il famosissimo The Danish Girl, o se conoscete la storia, saprete a cosa mi sto riferendo). La fotografia di Yves Bélanger è policroma, variopinta, spesso saturata, ed è accompagnato da musiche che alternano Vivaldi ai successi rock anni ‘90. La chiave di tutto il film è l’amore provato dai due protagonisti che, anche qui, spesso sfocia in momenti caratterizzati da emozioni forti e violente. Amato e odiato dalla critica, Xavier Dolan è uno dei migliori giovani registi in circolazione, tratta di temi ben chiari e definiti, pur provando a volte a distaccarsene, come ne La mia vita con John F. Donovan del 2018, nonostante ci siano elementi ridondanti, come la figura della madre, in questo caso interpretata da una meravigliosa Natalie Portman.

Xavier Dolan con Jessica Chanstain e Kit Harington sul set di The Death and Life of John F. Donovan

Torna anche Anne Dorval (e torna lo stesso Xavier come attore protagonista) nell’ultima opera del 2019, Matthias and Maxime, che finalmente verrà distribuita in Italia, a partire dal prossimo 27 giugno.